Beffa IBM, licenzia 8.000 lavoratori per colpa dell’AI e ne assume altrettanti a causa della stessa

Alessandro Nuzzo

24 Maggio 2025 - 11:48

Il colosso informatico ha licenziato nel 2023 circa 8.000 dipendenti salvo poi assumerne altrettanti ma in altri settori. Ecco perché.

Beffa IBM, licenzia 8.000 lavoratori per colpa dell’AI e ne assume altrettanti a causa della stessa

Da quando l’intelligenza artificiale è entrata con prepotenza nelle nostre vite, il grande dilemma legato al mondo del lavoro è se l’AI finirà per far perdere posti di lavoro. Il pensiero comune è che, poiché l’intelligenza artificiale è destinata ad automatizzare moltissime mansioni, interi settori e migliaia di occupazioni siano seriamente a rischio. Ma sarà davvero così? L’esempio concreto di IBM dimostra invece che, se da un lato alcuni ambiti professionali rischiano di essere ridimensionati, dall’altro ne esistono molti altri destinati a una forte crescita.

Licenziamenti in un settore ma nuovi posti di lavoro in altri: il caso IBM

IBM, colosso informatico tra i più importanti al mondo, nel 2023 ha preso una decisione significativa: ha licenziato circa 8.000 dipendenti, in gran parte appartenenti al settore delle risorse umane. Alla base di questa scelta vi è l’introduzione di soluzioni basate sull’intelligenza artificiale, in particolare AskHR, un agente conversazionale intelligente che ha permesso di automatizzare fino al 94% delle attività di routine del reparto HR. Parliamo di processi come l’elaborazione delle ferie, la gestione delle buste paga, la consultazione della documentazione dei dipendenti e altre mansioni operative. L’impatto di questa trasformazione è stato enorme: un incremento della produttività pari a 3,5 miliardi di dollari, distribuiti su oltre 70 linee di business. L’obiettivo, dichiarato apertamente, era automatizzare fino al 30% delle attività ripetitive, con evidenti risparmi economici.

Tuttavia, questa ondata di licenziamenti è stata compensata da migliaia di nuove assunzioni. Infatti, i risparmi ottenuti grazie all’automazione sono stati reinvestiti in altre aree aziendali. «Sebbene abbiamo lavorato moltissimo per sfruttare l’intelligenza artificiale, il nostro numero totale di dipendenti è in realtà aumentato perché ci ha permesso di investire di più in altre aree», ha dichiarato Arvind Krishna, CEO di IBM.

L’automazione ha quindi liberato risorse, sia finanziarie che umane, che sono state destinate allo sviluppo di settori più strategici. L’azienda ha assunto in massa ingegneri informatici, venditori specializzati e professionisti del marketing, concentrandosi su profili in cui creatività, pensiero critico e capacità relazionali restano insostituibili. Mentre le attività ripetitive sono state delegate alle macchine, la domanda di competenze umane è cresciuta sensibilmente in quei ruoli in cui l’ingegno umano rappresenta ancora un elemento chiave.

L’esempio di IBM dimostra che l’intelligenza artificiale non sta solo eliminando posti di lavoro, ma ne sta creando anche di nuovi, spesso più qualificati, con migliori prospettive di crescita e stipendi più alti. L’AI, quindi, non è solo una minaccia, ma anche un’opportunità, a patto che si investa in formazione e aggiornamento delle competenze.

Tuttavia, questa trasformazione non è priva di criticità. I ruoli più vulnerabili, come quelli legati al supporto operativo e ai servizi di base, vengono progressivamente sostituiti. Al tempo stesso, aumenta vertiginosamente la richiesta di professionisti capaci di progettare, gestire e vendere soluzioni basate sull’AI. IBM non è un caso isolato: anche aziende come Duolingo e varie piattaforme di customer service hanno cercato di sostituire il personale umano con chatbot, ma in alcuni casi i limiti dell’automazione hanno portato a un passo indietro. Le aziende sono state costrette a riassumere personale per garantire qualità, empatia e affidabilità nel servizio clienti.

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