Aviaria negli allevamenti di mucche, c’è da preoccuparsi?

Alessandro Nuzzo

11/04/2024

12/04/2024 - 06:59

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Cresce la preoccupazione negli Stati Uniti dopo la scoperta di diversi allevamenti infettati dal virus dell’influenza aviaria A/H5N1 in bovini. E c’è anche il primo uomo infetto.

Aviaria negli allevamenti di mucche, c’è da preoccuparsi?

C’è preoccupazione negli Stati Uniti dopo la scoperta di diversi allevamenti di bovini infettati dal virus dell’influenza aviaria A/H5N1. Gli Stati dove si sono registrati dei casi sono saliti a 7. L’ultimo in ordine cronologico è il North Carolina. Prima ci sono state scoperte in Texas, Kansas, Michigan, Idaho, New Mexico e Ohio.

Si tratta di un evento che preoccupa le autorità perché è molto raro che questo virus infetti i bovini. Molto probabilmente il ceppo è stato introdotto da uccelli migratori selvatici. Il fatto che la maggior parte delle infezioni sono state registrate in allevamenti storicamente non associati all’influenza aviaria, fa capire ancora di più la gravità della situazione. A mettere ulteriore allarme c’è anche un primo caso di infezione di un essere umano che molto probabilmente ha contratto il virus proprio dai bovini.

A riferirlo è stata l’Organizzazione mondiale della sanità che con una nota ha fatto sapere che il paziente americano «potrebbe essere stato infettato direttamente dalle mucche ammalate» e non da uccelli infetti, come si è ritenuto in un primo momento.

«Questa sembra essere la prima infezione umana da virus A/H5N1 acquisita dal contatto con un mammifero infetto», ha continuato l’Oms sottolineando però che la valutazione di rischio resta bassa per la popolazione generale mentre passa da bassa a moderata per le persone esposte professionalmente «perché il virus non ha acquisito mutazioni che facilitano la trasmissione tra gli esseri umani».

I sintomi manifestati dai bovini infetti sono diminuzione dell’appetito, anomalie nelle feci, letargia, febbre, minor produzione e alterazione della consistenza del latte.

Il latte di mucche infette o esposte all’infezione viene pastorizzato e distrutto e le autorità raccomandano misure rigide per impedire la commercializzazione di latte crudo o formaggi non pastorizzati provenienti da animali infetti o esposti.

Gli allevamenti devono monitorare gli animali e ai primi sintomi contattare le autorità veterinarie, mettere i capi in isolamento distruggendo il loro latte. È allo studio la valutazione di possibili vaccini per i bovini, adattati da quelli già esistenti per i suini.

Può esserci il salto di specie?

Ciò che si sa al momento e che questo virus nei bovini si presenta in modo diverso rispetto al pollame e sembrerebbe più letale. Di sicuro qualche mutazione genetica il ceppo l’ha avuta e la sta avendo sui bovini. Questo potrebbe significare maggiore trasmissibilità, virulenza o capacità di eludere la risposta immunitaria nei mammiferi ospiti.

Il confronto tra la composizione genetica del ceppo che ha infettato le specie aviarie, i mammiferi e gli umani, mostra come al momento non ci sono rischi di un possibile salto di specie ma non si può escludere in futuro. Ci sarà bisogno di un monitoraggio costante e una mappatura della diffusione dell’influenza aviaria per contenere eventualmente la diffusione del virus.

Necessario controllare la diffusione tra i bovini perché una propagazione incontrollata può aumentare la probabilità di trasmissione a un nuovo ospite, che potrebbe essere l’uomo. Al momento le autorità ritengono il pericolo ancora minimo e il livello di rischio resta basso. Massima prudenza però sopratutto negli allevamenti e sopratutto tra gli addetti ai lavori di questo settore.

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