Autonomia differenziata, cos’è e come funziona: ecco cosa vogliono fare Calderoli e la Lega

Chiara Esposito

6 Gennaio 2023 - 18:30

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Criticità e spazi di manovra nella proposta di legge avanzata dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli. Il ministro minaccia gli oppositori.

Autonomia differenziata, cos’è e come funziona: ecco cosa vogliono fare Calderoli e la Lega

Il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, in quota Lega, alla fine del 2022 ha avanzato una proposta di legge sull’autonomia differenziata suscitando notevoli attenzioni da parte dell’opinione pubblica e reazioni contrastanti sia dentro che fuori dal Governo.

Il desiderio del suo proponente è quello di andare al voto entro fine mese, spingendo sull’acceleratore per concretizzare un obiettivo che i leghisti si prefiggono da tempo.

Senza alcuna modifica alla bozza proposta dal ministro tuttavia i modi in cui l’autonomia differenziata potrebbe attuarsi secondo numerosi studiosi, membri dell’opposizione e rappresentanti delle regioni del Sud graverebbero sulla già profonda disparità territoriale nazionale.

Cosa significa autonomia differenziata?

Il tema centrale dell’iniziativa del ministro Calderoli è dibattuto da anni e caro alla Lega. Si tratta infatti di una proposta di cui si parla dal 2001, quando entrò in vigore la riforma della Costituzione con cui si delineava la possibilità per tutte le Regioni a statuto ordinario di richiedere allo Stato competenza esclusiva su 23 materie.

Per l’opposizione il nodo della questione in vista del voto del Parlamento è proprio questo: delineare con esattezza procedure, vincoli e concreti benefici di questa possibile trasformazione. Nella versione odierna del testo, sostenuta fortemente dal presidente del Veneto Luca Zaia, infatti non si specificano le modalità con cui si potrà presentare la richiesta di autonomia differenziata.

L’iter di revisione a dire il vero era cominciato lo scorso novembre quando una prima bozza era stata presentata alle regioni per raccogliere “consensi” e approvazione. Nulla di fondamentale però era stato davvero ritoccato, nonostante le segnalazioni.

Autonomia (in)differenziata: i rischi del ddl

L’aspetto più dibattuto del ddl è il fatto che non includa nessun requisito tecnico minimo per chiedere l’autonomia. In altre parole, come detto dal docente di economia Paolo Balduzzi, a Lavoce.info «non si richiede che la regione richiedente abbia i conti in ordine o non sia stata commissariata in precedenza per la gestione delle materie di cui fa richiesta».

C’è però anche un altro aspetto chiave: il testo non pone limiti alle materie su cui si può richiedere competenza esclusiva. Ciò significa che potrebbero rientrare nel giro anche istruzione, sanità, produzione di energia e tutela dell’ambiente. Temi delicati che rischiano di creare spaccature.

Mancano all’appello infatti «i livelli essenziali di prestazione che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (Lep)» che, come riportato sulla costituzione la Costituzione, devono tutelare «i diritti civili e sociali» dei cittadini e delle cittadine.
L’assenza dei Lep, o meglio il ventennale ritardo sulla loro definizione, è in verità un vecchio (problematico) tormentone italiano e nessuno, ad eccezione di Calderoli, ritiene fattibile la loro definizione in tempi utili per l’entrata in vigore dell’autonomia differenza così come viene proposta oggi.

In coda ai rischi, come comun denominatore di quelli sopracitati, c’è il rifletto che questo debole scheletro di vigilanza avrebbe sullo storico divario di spesa e disponibilità economica tra Sud e Nord.

Per fare un esempio concreto, lo scorso dicembre il direttore della Svimez, Luca Bianchi, ha preso come riferimento il mondo della scuola dicendo che ci sarebbe il rischio «di un vero processo separatista», con «programmi diversi a livello regionale, sistemi di reclutamento territoriale e meccanismi di finanziamento differenziati». Lo spettro più grave sarebbe poi quello di «nuove gabbie salariali» con Regioni disposte a pagare di più gli insegnanti e a generare un’ondata migratoria disastrosa per gli equilibri nazionali della distribuzione dei docenti.

In risposta alle accusa, ad ogni modo, il ministro nega e minaccia:

«Tra un po’ passo alle denunce».

Dopo i pareri contrari dei presidenti di regione Michele Emiliano e Stefano Bonaccini infatti è arrivato lo «strappo di Calderoli». In un’intervista al Corriere della Sera ha detto:

«Nessuno può azzardarsi di accusarmi di tradire la Costituzione sulla quale ho giurato, spaccare il Paese lo sarebbe. E allora o qualcuno mi trova un articolo, un comma, una riga nel mio testo di riforma dove emerge che il Sud viene danneggiato, o deve tacere».

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