Assegno di inclusione come il Reddito di cittadinanza (se non peggio), vi spiego perché

Simone Micocci

4 Gennaio 2024 - 13:26

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L’Assegno di inclusione non cancella il Reddito di cittadinanza: ne è la continuazione. E il rischio è che possano ripetersi gli errori del passato.

Assegno di inclusione come il Reddito di cittadinanza (se non peggio), vi spiego perché

Il governo Meloni ha davvero eliminato il Reddito di cittadinanza? Formalmente sì, ma con l’introduzione dell’Assegno di inclusione (Adi) e del Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) restano i sostegni al reddito delle famiglie che di fatto non sono così tanto differenti dalla misura in vigore fino allo scorso anno.

Per quanto tra Reddito di cittadinanza e Assegno di inclusione ci siano delle differenze, per larga parte viene ripercorsa la strada che ha portato al “fallimento” - almeno secondo quanto dichiarato dall’attuale presidente del Consiglio - della misura di sostegno introdotta dal primo governo Conte.

Nonostante il cambio nome, infatti, in Italia resiste una misura di sostegno affiancata da una di politica attiva, dove appunto per un certo periodo di tempo la persona gode di un sostegno economico con l’obbligo però di partecipare a un programma che a seconda dei casi è finalizzato all’inclusione sociale o alla ricerca di un nuovo impiego (o entrambe).

E ciò non differisce da quello che era il funzionamento del Reddito di cittadinanza: almeno sulla carta, infatti, anche in questi anni il sostegno spettava solamente a coloro che si rendevano disponibili, rispettando una serie di obblighi, a prendere parte a un percorso di inclusione sociale, con il supporto dei servizi sociali, e a ricercare un lavoro attraverso l’affiancamento dei centri per l’impiego.

Perché la politica attiva del Reddito di cittadinanza non ha funzionato

Il problema non era nella norma quanto più su come è stata applicata. Il percorso di politica attiva collegato alla percezione del Reddito di cittadinanza, infatti, sulla carta poteva anche essere considerato valido, tant’è che con l’Assegno di inclusione e il Supporto formazione e lavoro se ne ricalca il modello: il problema è sorto quando bisognava avviarlo, come abbiamo avuto già modo di spiegare in un precedente articolo.

Possiamo sintetizzare quelli che sono stati gli ostacoli che hanno impedito la realizzazione del Reddito di cittadinanza in Italia con:

  • pandemia, che inevitabilmente ha rallentato tanto lo svolgimento dei programmi come pure ha limitato le possibilità di assunzione in un mercato del lavoro in cui bisognava preoccuparsi perlopiù di impedire i licenziamenti;
  • centri per l’impiego non adeguatamente formati e con poco personale;
  • i beneficiari del Rdc, per quanto siano considerati occupabili ai sensi della normativa, nella maggior parte dei casi non risultano appetibili alle aziende visto il basso livello di scolarizzazione e le poche competenze acquisite nel mercato del lavoro;
  • ragioni politiche, con diverse Regioni che contrarie alle decisioni prese a livello nazionale si sono messe di traverso impedendo nei modi a loro consentiti che il programma pensato potesse effettivamente concretizzarsi.

Il tutto senza trascurare un’attenzione mediatica senza precedenti: pensiamo solamente a quanto risalto hanno avuto le notizie riguardanti persone che percepivano il Reddito di cittadinanza pur non avendone diritto, per quanto nei numeri siano comunque risultati inferiori rispetto ai “furbetti” di altre misure, come ad esempio la pensione di invalidità.

Oppure al trattamento riservato ai navigator che di fatto oggi sono risultati gli unici a pagare per le scelte prese dal nuovo governo Meloni che ha preferito non rinnovare il contratto a persone laureate e adeguatamente formate per dirottare le risorse verso le agenzie private per il lavoro che per anni hanno invocato un maggior coinvolgimento nelle politiche attive e che adesso dovranno dimostrare di essere effettivamente la soluzione al problema.

Perché l’Assegno di inclusione è come il Reddito di cittadinanza (se non peggio)

Anche con l’Assegno di inclusione la percezione di un sostegno è condizionata alla partecipazione a un percorso di inclusione che può portare anche al coinvolgimento dei centri per l’impiego e delle agenzie private.

Il rischio è però di ritrovarsi di fronte alle stesse problematiche riscontrate nel funzionamento del Reddito di cittadinanza. Al netto di una ripresa del mercato del lavoro - merito anche della fine della pandemia che speriamo resti un episodio isolato - va considerato che i beneficiari sono perlopiù gli stessi di quelli che hanno goduto del Reddito di cittadinanza.

Quindi, siamo sempre di fronte a persone con scarsa formazione ed esperienza professionale, spesso provenienti da un contesto sociale che non ne facilita il reimpiego: cosa è cambiato rispetto al passato per far sì che le aziende siano improvvisamente interessate alla loro assunzione? Si punta alla formazione vero, ma dobbiamo chiederci se pochi mesi di corso possono essere sufficienti per colmare quella distanza dal mercato del lavoro di una persona con licenza media, poche esperienze (e competenze) lavorative e un’età che di certo non rispecchia l’identikit preferito dalle aziende.

Il tutto mentre alle famiglie verrà riconosciuto comunque un sostegno che per quanto in molti casi rischia di essere più basso del precedente può essere interamente cumulato tanto con l’Assegno unico quanto con il Supporto per la formazione e il lavoro (che prevede un bonus di 350 euro mensili).

Il che farà sì che ci sono famiglie che almeno per un anno - ossia per la durata del Sfl - godranno di un importo persino maggiore di quello riconosciuto con il Reddito di cittadinanza, senza far niente se non rispettando gli obblighi previsti che sono gli stessi di quelli del Rdc.

Si potrebbe obiettare dicendo che per godere del Supporto per la formazione e il lavoro bisogna prima attivarsi nella partecipazione a un corso di formazione o comunque a qualsiasi altra attività di orientamento al lavoro. Ma basta guardare a quanto specificato dall’Inps con il messaggio n. 27 del 2024 per rendersi conto che le attività che danno diritto al bonus 350 euro non sono così diverse da quelle previste per la politica attiva del Rdc, tanto criticate in quanto non hanno portato ai risultati sperati:

  • orientamento specialistico;
  • accompagnamento al lavoro;
  • attivazione del tirocinio;
  • incontro tra domanda e offerta;
  • avviamento a formazione;
  • sostegno alla mobilità territoriale;
  • lavori socialmente utili e progetti di utilità collettiva;
  • supporto all’autoimpiego.
  • servizio civile universale.

Un elenco piuttosto ampio che di fatto potrebbe portare a ottenere l’indennità anche a coloro che di fatto intraprenderanno un percorso che per come è strutturato rischia di non portare a nulla, se non a 12 mesi di percezione di un assegno complessivo di 4.200 euro (a persona) a carico dello Stato.

Anche con l’Assegno di inclusione e il Supporto formazione e lavoro rischiano quindi di esserci famiglie che approfittano del sostegno per stare sul divano? Per quanto il governo lo neghi promettendo un cambio di passo rispetto al passato, il rischio che la storia possa ripetersi c’è. E chissà se i commenti saranno altrettanto duri come quelli mossi nei confronti del Reddito di cittadinanza.

L’Assegno di inclusione è un errore?

Con questo non intendiamo dire che l’Assegno di inclusione così come pensato sia sbagliato, ma solo che qualsiasi riforma delle politiche attive è inutile se non c’è una visione comune tra tutti gli organi chiamati a operare (dallo Stato agli enti locali, fino ai privati) e la pazienza necessaria per intervenire nel risolvere quelle problematiche che impediscono la riuscita di un programma che in altri Paesi è diventato un valido strumento di supporto per i disoccupati e le famiglie bisognose.

A essere sbagliata, semmai, è la trattazione politica, in quanto spesso viene distorta la realtà; e attaccando ciò che è stato si pongono persino troppe aspettative sul nuovo strumento.

Bisogna essere consapevoli, infatti, che l’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro, da soli, non sono sufficienti anzi rischiano di essere persino peggiori rispetto al Reddito di cittadinanza laddove non dovesse esserci un supporto adeguato e una condivisione di intenti.

La speranza è che ciò che non ha funzionato per il Reddito di cittadinanza non si ripeta, così da evitare un ulteriore spreco di risorse pubbliche, con il governo che dovrà avere l’umiltà di ammettere quelle che sono le carenze di una misura che non può essere la risoluzione di tutti i mali del Paese ma che nonostante tutto è necessaria per dare a quelle famiglie povere - non sempre per loro scelta - un giusto supporto di cui vivere.

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