Andare in pensione quando si vuole, perché questa è l’unica riforma possibile

Patrizia Del Pidio

8 Settembre 2023 - 07:30

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L’unico modo per permettere ai lavoratori di andare in pensione quando vogliono è realizzare una riforma pensione tanto banale quanto economica. E l’idea esiste, vediamo qual è.

Andare in pensione quando si vuole, perché questa è l’unica riforma possibile

I tavoli di incontro tra governo e parti sociali sono ripresi dopo la pausa estiva, ma molto spesso anche se ci si impegna a trovare la soluzione migliore per permettere ai lavoratori un’uscita flessibile, non si riesce a non pesare troppo sui conti pubblici. Quello che si sente dire più spesso nel dibattito previdenziale è che servono coperture e che anticipare troppo l’uscita ha un costo troppo elevato. E la riforma pensioni si rimanda, di anno in anno.

Un po’ come accaduto lo scorso anno per l’opzione donna che è stata vincolata a strettissimi requisiti per diminuire all’osso la platea delle possibili beneficiarie. Il problema principale delle riforma pensioni viene dal fatto che si vuole a tutti i costi superare la Legge Fornero troppo restrittiva e vincolante. Nessuno mette in dubbio che l’attuale legge previdenziale sia rigida, ma quello che si deve pensare è che il massimo del suo potenziale lo vedrà solo quando riuscirà a superare del tutto il sistema retributivo, ovvero quando l’ultimo lavoratore che ha contributi versati prima del 1996 sarà andato in pensione.

A quel punto, con tutti ricadenti nel sistema contributivo non si potrà più parlare di coperture, costi di anticipi o finanziamenti alla spesa previdenziale. Ogni lavoratore avrà versato esattamente quello che andrà a percepire e nessuna pensione peserà più sulle casse dello stato. Ipoteticamente è così, in pratica non proprio.

Andare in pensione quando si vuole

Un interessante spunto per chi legifera di pensioni dovrebbe venire dal punto di vista pubblicato da Franco Mostacci su lavoce.info in cui spiega che una via d’uscita alla riforma pensioni c’è ed è quella di abolire l’attuale pensione di vecchiaia e pensione anticipata e sostituirle con una pensione “lavorativa” calcolata interamente con il sistema contributivo.

Il problema resterebbero i lavoratori che ancora hanno contributi versati prima del 1996 che potrebbero avere, per quanto versato nel sistema retributivo una sorta di pensione integrativa. In questo modo, assicura Mostacci, nessuno percepirebbe più di quanto ha versato e non si graverebbe più sui conti pubblici.

In questo modo ogni lavoratore potrebbe scegliere a che età accedere alla pensione in base ai versamenti (e non agli anni di contributi) effettuati e la quiescenza si svincolerebbe dall’età ma resterebbe vincolata solo ad assicurarsi un importo della prestazione che basti a continuare a vivere una volta cessata l’attività lavorativa. E proprio perché tutto basato sul sistema contributivo, resterebbero attualissimi anche i coefficienti di trasformazione: più tardi si accede alla pensione e maggiormente saranno considerati i versamenti.

Il tutto, ovviamente, è vincolato agli anni di percezione della pensione stessa. Prima si andrà in pensione e, teoricamente, più a lungo si percepirà l’assegno mensile. Proprio per questo motivo nel sistema contributivo è essenziale l’aspettativa di vita del lavoratore, per capire l’importo di pensione che ha maturato in base agli anni che percepirà il trattamento.

Una pensione che non dovrebbe pesare

L’idea proposta da Mostacci sicuramente ha del potenziale e permetterebbe una riforma pensioni in tempi brevi, «fattibile fin dalla prossima legge di bilancio» scrive Mostacci. Ma è davvero così?

Il problema principale in Italia è che le pensioni che vengono erogate oggi, non sono pagate al lavoratore con i soldi che ha versato durante la sua vita lavorativa. Il nostro è un sistema previdenziale a ripartizione, ovvero basato sulla solidarietà intergenerazionale. I lavoratori attuali, con i contributi che versano, pagano i trattamenti pensionistici dei lavoratori cessati.

Nulla di male in tutto ciò, l’Inps dovrebbe essere un sistema che si autoalimenta, ma non è proprio così visto che il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati va sempre di più assottigliandosi. Quando questo rapporto arriverà ad essere uno a uno inizieranno i problemi perché in Italia i contributi versati annualmente vanno a coprire anche la spesa assistenziale.

Per ora i contributi maggiori versati dai lavoratori attivi serve a coprire la spesa assistenziale, ma arriverà un giorno in cui tra contributi versati e costo delle prestazioni in essere non ci sarà più un surplus. A quel punto l’unica soluzione, se non si aumenta oggi la platea dei lavoratori attivi le soluzioni saranno due: o aumentare la percentuale contributiva o comprimere la spesa.

Il problema del contributivo

La soluzione del sistema contributivo per ridurre la spesa previdenziale permettendo, al tempo stesso, di accedere alla pensione in qualsiasi momento senza vincoli di età, è quella che si raggiungerà lasciando trascorrere tempo. La Legge Fornero, infatti, punta proprio al superamento del sistema retributivo nel lungo periodo.

Una soluzione, però, ai lavoratori serve nell’immediato per poter lasciare il mondo del lavoro non appena maturato un assegno previdenziale che sia loro sufficiente a vivere dignitosamente, nella maggior parte dei casi. E il problema va ricercato proprio in questo passaggio: avere un assegno mensile che permetta di vivere.

I giovani, che poi sono coloro che sicuramente ricadono interamente nel sistema contributivo, a causa di lavori discontinui, precarietà, disoccupazione, attività malpagate e lavoro sommerso, non arriveranno al momento della pensione avendo diritto a un importo che permetta loro di vivere dignitosamente. Ed è proprio questa la vera questione che l’Italia deve affrontare: assegni previdenziali troppo bassi renderebbero poco sostenibile l’intero tessuto sociale nel futuro.

No alle misure tampone

A poco serve continuare a propinare ai lavoratori delle misure sperimentali e temporanee come la Quota 100, 102 e 103, perché non vanno a risolvere il problema di fondo e, tra l’altro, non servono neanche a permettere il pensionamento di molti.

Meglio sarebbe, quindi, trovare una soluzione al problema dei giovani non intervenendo, come al solito, come Stato assistenziale, ma permettendo l’ingresso nel mondo del lavoro fin dall’uscita dal percorso scolastico. Solo in questo modo si permetterà agli uomini di oggi di diventare i lavoratori che sorreggono il sistema previdenziale a ripartizione e di essere, in un futuro, pensionati che possono sopravvivere con quanto versato.

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