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Anche l’economia della Francia affonda: paga l’assenso dato al Trattato di Maastricht ed alla Riunificazione tedesca
martedì 22 luglio 2025, di
Anche per la Francia è arrivato il “momento della verità”: queste sono le parole testuali con cui il Primo Ministro François Bayrou ha intitolato il piano di bilancio che ha come obiettivo politico il congelamento della dinamica del debito pubblico, giunto quest’anno al 116% del PIL, in crescita inarrestabile dal 1992, quando era pari ad appena il 41,7% del PIL.
In quello stesso anno, l’Italia affogava sotto le andate dell’inflazione e degli alti tassi di interesse, arrivati alle stelle a causa del cosiddetto Divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro che aveva fatto raddoppiare in pochi anni il rapporto debito/PIL, che era arrivato al 104% del PIL, in quell’anno anche politicamente catastrofico per l’attacco valutario che prendeva di mira la Sterlina, il Franco francese e la Lira.
L’obiettivo della speculazione era politico: far saltare lo SME, la convergenza monetaria europea che sfidava il dollaro. Della fuga dei capitali dall’Italia e dalla profonda recessione che ne derivò, ad approfittarne fu la Germania, che a Maastricht impose a tutti i partner dell’Unione una cura fiscale e monetaria draconiana.
Solo la Francia si salvò dalla svalutazione per l’aiuto ottenuto dalla Bundesbank, ma volle vendicarsi dello strapotere della politica monetaria tedesca, pensando che obbligando la Germania a rinunciare al Marco sarebbe stato sufficiente: in realtà, dapprima l’adozione del Trattato di Maastricht e poi dell’Euro, ha consentito alla Germania di imporre a tutta l’Unione la sua costituzione monetaria, un assetto che si era cucita su misura nel corso dei decenni.
Fu questa la camicia di forza che ha bloccato l’intero Continente a favore di Berlino.
Il Trattato di Maastricht e l’adozione dell’Euro sono state due decisioni di cui ha beneficiato unicamente la Germania: non solo la Moneta unica, a partire dal 2001, ha impedito i riaggiustamenti valutari che in passato avevano consentito ai Paesi con più alta inflazione come l’Italia di recuperare competitività, ma già prima ancora, a partire dal 1992, il divieto del finanziamento monetario degli Stati da parte delle Banche centrali deciso col Trattato di Maastricht ha lasciato il piazzamento dei debiti pubblici in balia dei mercati finanziari.
In pratica, con l’euro la speculazione ha cambiato solo l’oggetto delle sue sfide: anziché attaccare le valute nazionali, metteva sotto pressione i debiti pubblici. Nel biennio 2010-2012, abbiamo visto le conseguenze devastanti di questo processo.
La Germania, che prima dell’adozione dell’euro era stata ripetutamente costretta anche dagli USA a rivalutazioni del Marco al fine di riassorbire il suo attivo commerciale, ha pure beneficiato per le sue esportazioni della debolezza dell’Euro sui mercati valutari, causata dagli squilibri tra i diversi Paesi, per accumulare somme colossali.
Fu dunque un atto di presunzione di François Mitterrand, Presidente della Francia dal 1981 al 1995, quello di immaginare di togliere autonomia monetaria alla Germania obbligandola a cedere il Marco in cambio dell’assenso alla Unificazione, dopo aver acconsentito all’adozione dei vincoli fiscali, in termini di tetti al deficit ed al debito pubblico col Trattato di Maastricht.
Per crescere, ed è crescita effettivamente senza sosta tra il 1992 ed il 2025, la Francia è dovuta ricorrere al deficit pubblico strutturale, tutto destinato a sostenere la spesa pubblica: in rapporto al PIL, è cresciuto di ben 74,6 punti, mentre quello della Germania è cresciuto di 23,5 punti arrivando al 65,4%, e quello dell’Italia è cresciuto di 24,3 punti arrivando al 137,3%.
Sempre nello stesso periodo, il debito pubblico francese è cresciuto di 3.000 miliardi netti, passando da 468 a 3.468 miliardi di euro, mentre l’Italia ha accumulato altri 2.154 miliardi di debito e la Germania altri 2.164 miliardi.
La crescita della Francia, sostenuta dal deficit pubblico, è stata estremamente sostenuta: tra il 1992 ed il 2025 ha segnato un +51%, mentre la Germania ha segnato il +40,3% e l’Italia appena il +26,4%. Di conseguenza, mentre nel 1992 l’economia italiana era pari al 95% di quella francese, ora arriva solo al 73%.
La conseguenza dell’adozione dell’euro sui conti esteri di Francia, Germania ed Italia è stata enorme: mentre nel periodo 1992-2006, la Francia ha sempre registrato un attivo della bilancia dei pagamenti correnti, con un passivo irreversibile delle partite commerciali che nel 2024 ha toccato i 102,7 miliardi di euro, rispetto ai +240,2 miliardi della Germania ed i +59,9 miliardi dell’Italia.
Solo le partite finanziarie, attive per via dei grandi investimenti all’estero delle Banche francesi hanno consentito di riequilibrare in parte questa passività, ma il dato di fondo messo in luce da Bayrou è ineludibile: la Francia compra più di quanto produce.
C’è un ultimo dato, politico, da mettere in chiaro: per recuperare competitività sull’estero, l’Italia non solo ha abbattuto i redditi dei lavoratori e smantellato le rigidità del mercato del lavoro, ma ha distrutto la domanda interna per ridurre le importazioni; la Germania, che aveva il vantaggio dell’euro debole per sostenere l’export extra europeo, con l’introduzione dei mini-job e le riforme Hartz dai primi anni 2000, ha creato una categoria sociale di lavoratori a basso reddito nel settore dei servizi che ha compensato gli alti redditi mantenuti nell’industria.
La Francia ha mantenuto in vita le 35 ore lavorative settimanali, ed una alta protezione sociale attraverso la spesa pubblica finanziata in disavanzo: ora Bayrou chiede di lavorare di più, e per questo propone di abolire due festività, il Lunedì dell’Angelo e l’8 Maggio, una celebrazione corrispondente al nostro 25 Aprile.
Non c’è, a Parigi, una maggioranza parlamentare pronta a sostenere la riduzione nel 2026 del deficit pubblico di 43,8 miliardi di euro rispetto all’evoluzione tendenziale, realizzata in pratica tutta attraverso riduzioni di spesa e congelamenti di incrementi automatici. Non c’è infatti spazio per un aumento della pressione fiscale, da tempo ai livelli più elevati rispetto a tutti gli altri Paesi.
La Storia ha presentato il conto degli errori compiuti, anche alla Francia.
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