Vuoto a rendere: cos’è e come funziona (in Italia e in Europa)

Simone Micocci

7 Giugno 2019 - 14:26

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Vuoto a rendere, l’Italia prova a replicare il modello tedesco: sono sempre di più le postazioni dove restituire bottiglie di plastica inutilizzate guadagnando qualche centesimo.

Di introdurre il vuoto a rendere in Italia se ne parla da anni, ma solo adesso sembra si stiano facendo passi concreti in questa direzione.

Grazie all’iniziativa sostenuta da Fareraccolta, infatti, in Italia sono nate quattordici postazioni di vuoto a rendere in diverse città, dando così la possibilità agli interessati di recuperare qualche soldo per ogni bottiglia restituita.

Si tratta di una buona notizia a conferma che - nonostante il fallimento della normativa del 2017 - per l’introduzione del vuoto a rendere in Italia c’è ancora qualche possibilità.

Ricordiamo infatti che nel 2017 l’allora Ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti ha deciso di reintrodurre - in via sperimentale per la durata di un anno - il sistema del vuoto a rendere, ossia la restituzione di bottiglie o contenitori riutilizzabili.

Una pratica che nel nostro Paese era molto diffusa negli anni ‘80, quando bastava andare nel proprio alimentari di fiducia per restituire le bottiglie vuote, ma oggi è ormai in disuso. Il decreto 142 del 2017 sul vuoto a rendere - pubblicato il 25 settembre in Gazzetta Ufficiale - ha reintrodotto questa pratica con l’obiettivo di sensibilizzare i consumatori sull’importanza della tutela dell’ambiente, incentivando il riciclo e riducendo la produzione di rifiuti.

Infatti, con il vuoto a rendere descritto dal decreto ogni singolo contenitore di generi alimentari sarebbe stato utilizzabile per un massimo di 10 volte prima di essere scartato definitivamente.

Peccato però che dopo la scadenza la fase sperimentale non sia stata rinnovata, visti i problemi riscontrati. Se dopo questo fallimento si credeva che le porte al ritorno del vuoto a rendere in Italia fossero chiuse per sempre, adesso la notizia dell’iniziativa sostenuta da Fareraccolta sta ridando qualche speranza in merito.

Ma come funziona questo sistema? E per quale motivo il decreto del 2017 è stato un fallimento? Prima di rispondere a queste domande facciamo chiarezza su cos’è il vuoto a rendere e su come funziona in quei Paesi in cui questa pratica è normalmente in uso.

Cos’è il vuoto a rendere?

Con il termine “vuoto a rendere” si indica quella pratica con la quale l’acquirente restituisce un contenitore - come ad esempio una bottiglia di vetro, o anche di plastica - una volta svuotato, così che questo possa essere riutilizzato per un determinato numero di volte prima di essere gettato.

Generalmente per consentire questa procedura colui che acquista il prodotto in vuoto a rendere paga una cauzione che viene resa al momento della restituzione; un po’ quanto accade oggi quando si necessita di una bombola del gas. C’è anche la possibilità, per gli interessati, di acquistare il prodotto al prezzo originale, salvo poi recuperare qualche centesimo al momento della restituzione.

Il vantaggio di questa procedura è chiaro: adoperando un contenitore per più volte, viene limitato l’utilizzo dei più inquinanti usa e getta. Basti pensare che in Germania - dove questa pratica è particolarmente utilizzata - l’ammontare di rifiuti è ridotto del 96% per il vetro e dell’80% per la plastica.

Come anticipato uno dei Paesi in cui si utilizza abitualmente il sistema del vuoto a rendere è la Germania. Qui ci sono dei veri e propri distributori (come possiamo vedere nel video pubblicato all’inizio dell’articolo) dove il consumatore può restituire bottiglie (sia di vetro che in plastica) o altri contenitori - se resistenti - di generi alimentari, ricevendo un piccolo indennizzo economico.

A seconda della grandezza e del materiale il compenso va dagli 8 ai 25 centesimi, ma a guadagnarci è anche l’ambiente.

Il vuoto a rendere si utilizza anche in Olanda, dove ogni bottiglietta d’acqua viene venduta con un sovraccarico di 25 centesimi che l’acquirente può recuperare se la rende una volta svuotata. Gettare la bottiglia impedendo il riciclo, quindi, vorrebbe dire aver buttato 25 centesimi.

Il vuoto a rendere in Italia

In Italia il vuoto a rendere era molto utilizzato negli anni ‘80, ma successivamente questa pratica è caduta in disuso. Il tentativo di reintrodurla è stato un fallimento, visto che non ha avuto seguito la fase sperimentale introdotta nel 2017 dal decreto Galletti.

Prima di vedere perché ha fallito, è bene ricordare cosa prevedeva questo decreto.

A differenza della Germania, dove ogni attività commerciale - di tipo alimentare - è obbligata ad accettare la restituzione dei contenitori, anche nel caso in cui non siano stati acquistati nello stesso negozio, in Italia era stata data la libertà di aderire alla fase sperimentale del vuoto a rendere. Era il singolo esercizio commerciale, quindi a decidere se dare la possibilità ai consumatori che avrebbero restituito bottiglie e contenitori di riavere il costo della cauzione pagata al momento dell’acquisto.

L’importo della cauzione naturalmente sarebbe dipeso dal valore unitario del “vuoto” che si restituisce: ad esempio, per una lattina da 200ml era pari a 5 centesimi, mentre per una bottiglia da un litro e mezzo a 30 centesimi.

Cosa ne sarebbe stato dei contenitori restituiti? Il decreto sul vuoto a rendere prevedeva che i contenitori restituiti sarebbero stati sottoposti ad un particolare processo di sterilizzazione, così da poter essere riutilizzati per altre 9 volte.

La fase sperimentale, però, non ha funzionato: il progetto, infatti, avrebbe comportato troppi oneri per i bar e i ristoranti, i quali avrebbero dovuto dotarsi di depositi e magazzini per poter avviare un programma di vuoto a rendere.

Senza dimenticare le carenze del Governo in merito alla promozione dell’iniziativa, il quale non è riuscito ad impedire il boicottaggio da parte del mondo delle imprese; non ci sono state, infatti, campagne informative, né tantomeno è stata mai mostrata la “famosa” etichetta green per le imprese che avrebbero aderito al vuoto a perdere.

Commentando il fallimento dell’iniziativa governativa Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, ha tracciato la strada per un sistema di vuoto a rendere che possa funzionare:

Sarà possibile solo se il nuovo governo farà un decreto serio puntando sull’economia circolare: i consumatori che riportano indietro il vuoto vanno premiati economicamente.

Le sue parole sembrano essere state profetiche: è proprio sul principio dell’economia circolare, infatti, che si basa il sistema promosso da Fareraccolta che sta prendendo piede in Italia.

Questa iniziativa è partita in una piccola località della Sardegna, precisamente a Guspini, dove è stata installata una prima postazione di vuoto a rendere con la quale per ogni bottiglia restituita si ha diritto ad un bonus di 10 centesimi. La somma viene poi accumulata in un portafoglio virtuale, con la possibilità di spenderla in negozi, teatri o ristoranti semplicemente tramite codice QR.

Un sistema funzionale, con il quale sono stati raccolti già 412.500 pezzi per un equivalente di 12 tonnellate di PET.

L’iniziativa poi è stata riproposta in altre città, come Trento, Rimini e Milano, per un totale di 14 postazioni funzionanti. Un’idea semplice, ma di successo: che sia la volta buona che anche in Italia si torni a parlare di vuoto a rendere, con notevoli vantaggi per la riduzione dell’inquinamento?

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