Si vota a fine luglio mentre sono 60 le morti per le manifestazioni di protesta. Maduro ha sostituito il ministro degli Esteri Delcy Rodriguez con Samuel Moncada, ex ambasciatore presso l’Organizzazione degli Stati Americani, OAS.
Mercoledì scorso la responsabile del Consiglio nazionale elettorale venezuelano (Cne), Tibisay Lucena, in un discorso trasmesso a reti unificate ha annunciato che a fine luglio ci saranno le elezioni per eleggere l’assemblea che dovrà riformare la Costituzione come proposto da Nicolás Maduro, Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela dal 14 aprile 2013.
Lucena ha detto che la proposta di riforma costituzionale di Maduro "rappresenta una opportunità per tutti coloro che vogliono la pace e il progresso nel Venezuela".
Situazione non semplice in Venezuela perché secondo la Costituzione venezuelana le elezioni per governatori e sindaci dovevano svolgersi entro lo scorso dicembre, ma il Cne le aveva già posticipate fino a giugno giustificando il ritardo per la richiesta del referendum contro Maduro richiesto l’anno scorso dall’opposizione e poi com’è noto annullato dalla Corte suprema per delle irregolarità. L’ex candidato presidenziale dell’opposizione, Henrique Capriles, ha respinto le dichiarazioni della responsabile del Cne dicendo:
"Il popolo venezuelano non vuole la truffa costituzionale di Maduro e non la accetta.
Risulta difficile trovare una faccia tosta che abbia preso tanto in giro il nostro popolo quanto la signora Lucena".
Purtroppo sono 8 i morti per le manifestazioni antigovernative nella parte occidentale del Venezuela, Barinas, dopo che la Procura nazionale ha aggiunto altri due nomi alla lista di vittime. Sul suo sito web, la Procura ha informato che Juan Sanchez (21 anni) e Erick Molina (35 anni) sono morti durante manifestazioni in due zone diverse dell’omonima capitale dello Stato, ambedue raggiunti da spari di arma da fuoco al torace. Dall’inizio delle manifestazioni contro il governo di Maduro, dai primi giorni dell’aprile scorso quando è stata decisa di convocare l’Assemblea costituente sono morte 60 persone in Venezuela.
Il Venezuela è la quarta economia dell’America latina dopo il Brasile, Messico e Argentina e presenta un potere d’acquisto, dati 2012 del Fondo Monetario Internazionale, di 397.890 milioni di dollari e si posiziona al 33º posto della classifica mondiale per l‘indice US$, ma per il Prodotto nazionale lordo pro capite dello stesso anno che è di 12.918 (sempre con indice US$) si trova al 53º posto della classifica mondiale.
La sua economia è legata all’estrazione e raffinamento del petrolio e la diminuzione del prezzo nel 2015 e 2016 ha creato anche una crisi economica ancora in corso e questo ha fatto aumentare una ulteriore ingerenza degli Usa. Al riguardo è stato reso noto un documento del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti che mette in evidenza il finanziamento che avrebbero ricevuto alcuni personaggi pubblici e politici venezuelani con l’obiettivo di attaccare il governo venezuelano. Si elencano le ragioni del finanziamento come "ristabilire la democrazia in Venezuela" e si dichiara che i cittadini venezuelani sono stati contattati attraverso le vie diplomatiche con finalità dirette sui messaggi, discorsi, azioni e pubblicazioni nelle reti sociali da tenere per abbattere il governo di Nicolas Maduro.
Oggi il Venezuela ha problemi, come ad esempio la carenza di elettricità essendo in gran parte di origine idroelettrica e quindi in funzione della siccità, e al riguardo il governo di Maduro nell’aprile del 2016 ha incominciato a razionare l’uso riducendo la settimana lavorativa per i dipendenti pubblici. Le tensioni economiche e politiche si intrecciano e secondo un sondaggio realizzato dalla Datincorp, il 73% dei venezuelani crede che il governo sia il responsabile delle violenze che si sono scatenate nelle manifestazioni promosse dall’opposizione mentre il 59% pensa che la situazione nel paese peggiorerà nei prossimi mesi.
Sempre secondo questo sondaggio il 49% afferma di vivere in una dittatura e il 53% degli intervistati ritiene che l’unica via d’uscita dalla crisi sia il voto. Il 79% si dice pronto a votare per eleggere i governatori degli stati e i sindaci, previsti a quanto pare a dicembre.
Attenzione: se il 74% valuta positivamente il modo in cui l’opposizione ha affrontato la crisi nelle ultime settimane il 79% pensa che le manifestazioni di piazza debbano andare avanti finché non si raggiunge l’obiettivo di non cambiare la Costituzione. Per le opinioni politiche, il 51% non si identifica in nessun partito mentre il 40% non si considera né chavista né oppositore e il leader definiamolo “oppositore” che registra più consensi è in pratica «nessuno» con il 30% delle preferenze.
La campagna elettorale è in corso e recentemente Maduro ha rimosso dall’incarico il ministro degli Esteri Delcy Rodriguez perché è candidata per la nuova assemblea costituente. I media ne hanno diffuso gli elogi e Maduro ha dichiarato che "ha difeso la pace, la sovranità e l’indipendenza del Venezuela come una tigre". Al posto di Rodriguez andrà Samuel Moncada, ex ambasciatore all’Organizzazione degli Stati Americani dell’OAS che è l’Organizzazione degli Stati americani che è internazionale ma con caratteristiche regionali che comprende i 35 stati indipendenti delle Americhe e non degli Usa s’intende. L’’unico stato del continente non membro dell’OSA è la Guyana in quanto dipartimento d’oltremare della Francia. Quest’organizzazione rappresenta al momento il principale forum politico per il dialogo multilaterale per la soluzione dei problemi politici. Naturalmente lo scopo dell’organizzazione è di mantenere la pace con il rilancio continuo della democrazia e dei diritti dell’uomo ma anche di migliorare le condizioni sociali ed economiche.
La decisione di Maduro di convocare un’assemblea per riscrivere la Costituzione come via d’uscita dalla crisi è stata accolta con forti critiche dall’OAS che lo ha esortato a non tenere le elezioni del 30 luglio. Con quest’articolo vorrei mettere in evidenza lo scenario venezuelano che non è facile da cogliere. Ci provo.
Atilio Borón, docente di Teoria politica presso la Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Buenos Aires nel 2004 ha sostenuto apertamente Hugo Chávez nelle elezioni del Venezuela. Nel 2009 gli è stato assegnato dall’Unesco il Premio Internazionale José Martí per il suo contributo per l’unità e l’integrazione dell’America Latina. Alla fine di maggio ha invitato il governo del Venezuela ad usare le forze militari per "schiacciare" l’opposizione in modo che possa rimanere al potere. In caso contrario il Venezuela diventerebbe de facto il 51° stato degli Stati Uniti. Al riguardo varie possono essere le osservazioni ma è importante che lui abbia anche dichiarato che "Nessuno sforzo deve essere risparmiato per evitare un esito così disastroso". L’uso dei militari è fuori dalla logica corrente però in Venezuela le alternative sono solamente due, o il consolidamento e l’avanzata della rivoluzione comunque in atto oppure la sconfitta della rivoluzione.
Perché?
Com’è noto Hugo Chávez, il Presidente del Venezuela morto nel 2013 scelse i referendum per realizzare le riforme costituzionali ma con politiche rivoluzionarie. Con l’approvazione della Costituzione del 1999 in Venezuela è stato introdotto il principio della revocabilità di tutti i mandati elettivi a ogni livello dell’amministrazione compresa la carica presidenziale che può essere revocata attraverso referendum popolare alla metà del periodo di legislazione. Proprio con il referendum costituzionale del febbraio 2009 le candidature per tutte le cariche elettive possono essere ripresentate nelle successive elezioni senza limitazioni numeriche. Come si ricorderà nel 2002 c’è stato un golpe da parte dei settori dell’imprenditoria, di certi media e di alcuni militari nonché con il coinvolgimento di potenze straniere. Naturalmente questo golpe è fallito in seguito alla fedeltà costituzionale di importanti settori dell’esercito e alla mobilitazione popolare: il presidente rientrò al Palacio de Miraflores, sede del governo.
Oggi con il governo di Maduro sono emersi gravi problemi economici, derivanti anche dalle passate politiche economiche di Chavez che hanno portato a razionamenti e scarsità anche di generi di prima necessità. La situazione economica nonché anche processi di corruzione e una cattiva gestione del governo del paese hanno generato forti proteste popolari. Il 29 marzo 2017 Il Tribunale Supremo di Giustizia ha condannato il Parlamento per aver convalidato l’elezione di alcuni deputati accusati di brogli elettorali ed ha avocato a se il potere legislativo, fatto interpretato dai media occidentali come una vera e propria deriva autoritaria del Paese ispirata da Maduro.
Oggi il caos appare sovrano ma si spera che l’assemblea costituzionale possa operare una svolta vera. Maduro ha fatto una scelta giusta perché comunque l’opposizione dovrà impegnarsi a partecipare al voto ed eleggere i suoi rappresentanti. Spesso alcuni sociologi dicono che la democrazia non cammina su un tappeto di rose ed è vero, però è certo che la rivoluzione, socialista,s’intende, cammina solo con la lotta di classe. La differenza sta nel fatto che per la prima comunque si sopravvive -e male- grazie primariamente al ruolo dei mercati finanziari che impongono continui processi di privatizzazioni conditi con austerity mentre per l’altra si vive certo meglio ma bisogna sempre e comunque lottare. Un processo rivoluzionario non si conclude mai pienamente perché convive sempre con la Reazione che in Venezuela ha mostrato davvero i denti.
Non è un caso che si vuole svendere l’impresa petrolifera e le altre imprese nascenti che operano in settori strategici, come il gas, l’oro, il coltan, il torio scoperti recentemente e in grandi quantità nel bacino del cosiddetto Arco Minero. L’obiettivo è di far ritornare in Venezuela un passato feudale in cui una piccola élite godeva di tanti privilegi e comandava sul paese, mentre decine di milioni stavano nella miseria più nera.
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