Vaccino obbligatorio: il Governo dovrà aspettare anni, ecco perché

Chiara Esposito

4 Settembre 2021 - 20:07

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Le precauzioni scientifiche dilatano i tempi per l’obbligo vaccinale ventilato da Mario Draghi. Ecco spiegata la causa delle lunghe attese.

Vaccino obbligatorio: il Governo dovrà aspettare anni, ecco perché

Il Presidente del Consiglio Mario Draghi nell’ultima conferenza stampa ha parlato della possibilità concreta per il governo di introdurre nel paese l’obbligo vaccinale rispetto alla campagna anti-Covid. Questa posizione, per quanto legittima e in larga parte condivisa dagli italiani, si trova ora a scontrarsi con i tempi della scienza.

Una misura di questo tipo dovrà restare nel cassetto del Parlamento italiano ancora a lungo prima di vedere la luce: si parla del 2023 e a dirlo non sono i politici, bensì gli esperti.

A comunicare le tempistiche reali a cui dovremmo sottostare prima di approvare una qualsiasi legge sull’obbligo vaccinale sono infatti le stesse case farmaceutiche che producono i vaccini e che, a loro volta, dovranno attendere i riscontri dell’Ema prima di distribuire le dosi come se fossero un normale farmaco e non un medicinale in via di sperimentazione.

Non è irrealistico, quindi, ridimensionare di molto le aspettative e, sebbene al momento ogni stima è da considerarsi approssimativa, la necessità di evidenze scientifiche di fase 3 per gli studi in corso è tassativa. Il ritmo di raccolta di dati è quindi il motivo principale di quella che, in apparenza, potrebbe sembrare un’attesa immotivata.

Obbligo vaccinale: cosa stiamo aspettando?

Mentre tra le fila dell’opinione pubblica si rincorrono ancora quesiti di dubbia eticità e vaneggiante filosofia sulla incostituzionalità dell’obbligo vaccinale, ci sono questioni ben più concrete che potrebbero ostacolare questa decisione del governo.

A zittire tutti, favorevoli e contrari, sono le valutazioni di laboratorio nonché l’impianto industriale di produzione.

L’Ema ne fa una questione di sicurezza e parla, attraverso un suo funzionario, alla testata de “Il Giornale”. Dalle dichiarazioni emerge la necessità di attendere un paio d’anni per “il via libera all’autorizzazione al commercio completo dei vaccini” con un riferimento specifico al caso Pfizer e Moderna sebbene quest’ultima, proprio attraverso dei portavoce diretti, indica una più rosea prospettiva di un anno soltanto. Dicembre 2022 è l’auspicio aziendale.

A queste indiscrezioni soggiace l’ostacolo di sperimentazione clinica che dovrebbe concludersi solo con la terza fase. Stando alle carte, Pfizer si era impegnata a chiudere i fascicoli in 28 mesi poiché il monitoraggio, detto follow up, dei partecipanti ha una durata standard di due anni per certificare la piena affidabilità che si richiede per tutti i farmaci obbligatori.

Anche una volta raggiunto il traguardo scientifico, tuttavia, si dovrebbe far fronte a qualche ostacolo: l’efficienza produttiva degli stabilimenti che dovrebbero rispondere ad un numero ancora maggiore di richieste.

Non è tanto difficile immaginarsi le complicazioni che potrebbero sorgere a quel punto anche solo dando uno sguardo ai ritardi distribuitivi di inizio 2021.

L’unico barlume di speranza per i più ottimisti

La perplessità più grande a questo punto appare evidente: la crisi pandemica potrebbe non essere più tale dopo tutto questo tempo.

La sola condizione favorevole ad una velocizzazione delle pratiche è, secondo i più ottimisti, quella del monitoraggio su larga scala condotto proprio sulla totalità delle comunità globali nelle loro risposte immunitarie al vaccino.

In quest’ottica se milioni di persone, in percentuale, mostrano una risposta positiva forse “ci si può fidare”.

Nonostante questo modello appaia poco sostenibile nella raccolta di evidenze scientifiche accurate, una buon andamento complessivo della campagna vaccinale globale potrebbe davvero spingere l’Ema e le altre agenzie che disciplinano l’uso dei farmaci a un piccolo azzardo con uno sconto sui tempi.

La prospettiva è remota ovviamente, ma chi desidera ardentemente una svolta ripone un pizzico di speranza anche nei casi meno plausibili.

Nel frattempo cosa ci resta?

La risposta dolce amara a questa domanda è una soltanto: il green pass. In assenza di mezzi e strategie più incisive che vincolino i cittadini a prendere consapevolezza dell’importanza della vaccinazione contro il coronavirus non ci resta che continuare ad osservare il lento e inesorabile pressing veicolato dalle restrizioni per chi non possiede la certificazione verde.

Solo estendendo pian piano il range di attività e locali pubblici a cui si potrà accedere solo esibendo il proprio QR code si vincolerà silentemente la popolazione alla vaccinazione.

Sarà insomma un gioco di equilibri non semplice in cui i no-vax e i no green pass continueranno probabilmente a far sentire la loro voce e i partiti litigheranno e si rincorreranno per rappresentare una o l’altra parte del paese osteggiando o appoggiando la manovra, ma questa opzione è tutto quel che resta in uno scenario composto da lunghe (e legittime) attese scientifiche.

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