Trevi rimanda Cda su approvazione conti e manovra di rafforzamento patrimoniale

Mattia Prando

03/10/2018

03/10/2018 - 12:48

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La crisi Astaldi è solo la punta dell’iceberg di un settore in serie difficoltà. Anche la società di Cesena rimanda al 10 ottobre la pubblicazione dei conti e le decisioni in merito al rafforzamento patrimoniale

Trevi rimanda Cda su approvazione conti e manovra di rafforzamento patrimoniale

Settimana nera per il comparto delle costruzioni italiano. Alle burrascose vicende ancora in corso su Astaldi si aggiunge anche la tegola Trevi.

Il gruppo specializzato nell’ingegneria del sottosuolo ha rinviato al 10 ottobre prossimo il Consiglio di amministrazione in programma oggi per l’approvazione dei risultati semestrali e il varo della manovra di rafforzamento patrimoniale da 370-410 milioni di euro, di cui 130 milioni di aumento per cassa e 240-280 milioni in conversione di crediti in strumenti finanziari partecipativi o equity, che porterebbe gli istituti al 22-24% del capitale.

Secondo la stampa nazionale la famiglia Trevisani non avrebbe i 44,5 milioni di euro per sottoscrivere interamente la sua quota (32,7%), e avrebbe dunque chiesto a Cassa depositi e Prestiti di intercedere con gli istituti di credito coinvolti, oltre che a procedere con la ricerca di un partner industriale.

Dall’ultima recessione, il comparto edile ha iniziato una timida ripresa solamente nel secondo semestre dello scorso anno. L’osservatorio Ance (Associazione nazionale costruttori edili) prevede che solo durante quest’anno il settore uscirà ufficialmente dalla recessione.

Tale affermazione risulta piuttosto inverosimile se si guarda al caso Astaldi, sotto la lente in questi giorni, ma anche alla situazione di Trevi, leader mondiale nell’ingegneria del sottosuolo e presente nel settore delle perforazioni e nella realizzazione di parcheggi sotterranei automatizzati e che conta quasi 7.200 addetti. Quest’ultima società fa capo alla famiglia Trevigiani che ne detiene il 32,70% del capitale sociale ma che conta tra i suoi soci anche Cdp (16,8% del capitale) e il fondo Polaris (10,1%).

Altra società a pagare il prezzo della crisi del settore è Condotte SpA, più piccola rispetto alle altre due (conta infatti 2.800 dipendenti) e che già durante lo scorso gennaio avrebbe chiesto al Tribunale di Roma l’accesso alla procedura di concordato in bianco.

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