La profezia del The Economist: guerra nucleare in Corea nel marzo 2019?

Alessandro Cipolla

10 Agosto 2017 - 13:40

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Per il prestigioso settimanale britannico The Economist c’è una data ben precisa per lo scoppio di una guerra nucleare in Corea: marzo 2019. Ecco la storia.

La profezia del The Economist: guerra nucleare in Corea nel marzo 2019?

Una guerra nucleare in Corea scoppierà nel marzo 2019. Questa è la sorta di profezia formulata dal The Economist, il prestigioso e longevo settimanale britannico che è arrivato a ipotizzare il susseguirsi di una serie di catastrofici eventi.

Mentre il mondo intero si interroga su quali siano le intenzioni di Kim Jong-un, ecco che il The Economist, tra il drammatico e l’irriverente, arriva a immaginare come si potrebbe arrivare a una guerra nucleare.

Per il settimanale inglese quindi, nonostante la grande tensione degli ultimi tempi, la situazione non dovrebbe degenerare fino al marzo 2019, quando invece una serie di eventi potrebbero dar vita al conflitto.

Un possibile scenario dipinto come più che catastrofico, che potrebbe costare la vita a centinaia di migliaia di civili e militari ma anche provocare, come un effetto domino, una sorta di Terza Guerra Mondiale coinvolgendo anche altri paesi.

Una guerra nucleare nel marzo 2019

La storia dello scoppio di una guerra nucleare in Corea per il The Economist inizia nel marzo del 2019, con una situazione non molto differente da quella che stiamo vivendo in questi giorni carichi di tensione.

In questo lasso di tempo, la Corea del Nord avrebbe condotto con successo una serie di test riguardanti missili intercontinentali balistici, che sarebbero capaci nel loro massimo utilizzo anche di raggiungere qualsiasi città degli Stati Uniti.

Nel frattempo l’esercito americano, impegnato con 20.000 uomini, prosegue assieme ai 300.000 militari della Corea del Sud l’operazione Foal Eagle, ovvero le esercitazioni congiunte tra le due nazioni che si svolgono ogni anno.

Visto il miglioramento della dotazione missilistica di Pyongyang, per il presidente Donald Trump ormai non ci sarebbe più tempo per aspettare. L’obiettivo infatti è quello di intervenire prima che i nemici nordcoreani riescano a concludere i loro test sui missili intercontinentali balistici.

Trump così decide di rivolgersi a James Mattis e H.R. McMaster, rispettivamente Segretario della Difesa e National Security Advisor, che lo sconsigliano di intervenire militarmente in quanto ci sarebbero troppi rischi. Inoltre, secondo i due la Corea del Nord non sarebbe capace di effettuare i test finali per sperimentare un missile che possa arrivare a colpire gli Stati Uniti.

Trump però decide di licenziare McMaster sostituendolo con John Bolton, che fu uno dei più grandi sostenitori della presenza di armi di distruzione di massa possedute da Saddam Hussein. A differenza del suo predecessore, Bolton confermerebbe a Trump che Pyongyang sarebbe capace di completare i test.

Mentre il presidente cinese Xi Jinping invita alla calma preoccupato anche per l’aumento dei soldati americani vicino ai propri confini, il suo collega sudcoreano Moon Jae-in sostiene in tutto Donald Trump, nonostante inizialmente fosse stato un fervente tifoso della linea diplomatica rispetto a quella militare.

Gli Stati Uniti così iniziano a utilizzare un innovativo sistema antimissilistico per neutralizzare, tramite le navi dislocate nel Mar del Giappone, ogni tentativo di test missilistico da parte della Corea del Nord.

Visto il comportamento degli Usa, Kim Jong-un quindi darebbe l’ordine di inziare un’invasione via terra della Corea del Sud, utilizzando anche il gas nervino e provocando una evacuazione di massa dei civili dalle città vicine al confine.

Sfruttando la superiorità aerea, la risposta degli Stati Uniti sarebbe quella di un massiccio bombardamento delle difese nordcoreane, anche se il territorio montuoso della nazione permetterebbe di mettere al sicuro l’armamentario nucleare.

Visto il precipitare degli eventi, la Corea del Nord utilizzerebbe allora l’ingente artiglieria da tempo dislocata lungo il confine per fare fuoco verso il territorio dei cugini sudcoreani, provocando almeno 100.000 morti.

Gli aerei degli Stati Uniti quindi inizierebbero a bombardare l’artiglieria nemica, riuscendo in poco tempo a metterla fuori uso. Messo ormai alle corde, Kim Jong-un prenderebbe la decisione quindi di utilizzare i propri ordigni nucleari verso la Corea del Sud.

Il bombardamento atomico di Seul provocherebbe 300.000 morti, con Trump che quindi andrebbe a prendere la decisione di utilizzare anche lui armi nucleari contro Pyongyang, annientando di fatto la nazione del dittatore Kim Jong-un e ponendo fine alla guerra.

Oltre alla grande desolazione e devastazione, a quel punto il rischio sarebbe quello di un intervento militare della Cina, visto che le bombe nucleari sganciate dagli Usa provocherebbero un’ondata di radiazioni anche verso i paesi confinanti.

A marzo 2019 quindi la penisola coreana sarebbe sconvolta e distrutta da una guerra nucleare, con il conflitto che potrebbe anche degenerare ulteriormente se la Cina decidesse di attaccare per ritorsione gli Stati Uniti.

Tra realtà e immaginazione

L’apocalittica guerra nucleare raccontata dal The Economist nel marzo del 2019 è una ricostruzione sicuramente grottesca. Nonostante questo, non mancano gli spunti per delle riflessioni sull’attuale situazione.

La stima dei morti fatta dal The Economist infatti sarebbe tristemente veritiera, visto che riprende uno studio compiuto dai militari americani sull’impatto che potrebbe avere una guerra lampo in Corea in termini di vittime.

Oltre a questa catastrofe, anche l’interrogativo di cosa potrebbe succedere dopo un massiccio utilizzo di armi nucleari è tremendamente reale. Oltre ai morti immediati, le radiazioni andrebbero a contaminare a lungo tutti i territori vicini.

Con ogni probabilità, lo scopo dell’articolo del The Economist è quello di far capire cosa potrebbe portare lo scoppio di una guerra nucleare. Un tragico rischio questo che in molti, ovvero i sostenitori dell’interventismo, con troppa leggerezza fanno finta di ignorare, mentre invece si dovrebbe spingere per cercare con ogni sforzo una soluzione diplomatica.

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