In un articolo dal titolo “Educating Cécile” il famoso settimanale inglese parla della situazione che il nostro Ministro dell’Integrazione si trova ad affrontare, dando un giudizio sull’intera società italiana. Dall’estero i commenti sono durissimi e non potevamo aspettarci altro. Si parla di razzismo, di “persecuzione”, di un Paese che nel 2013 si dichiara liberale, ma che si trova ad affrontare problemi che ormai dovrebbero essere superati da anni.
Ecco qual è l’opinione dell’autorevole giornale britannico in merito alla “questione Kyenge.
È il primo Ministro italiano di colore e ha avuto un battesimo durissimo
Pochi politici al mondo hanno avuto un introduzione alla cosa pubblica tanto orribile come Cécile Kyenge, divenuta in aprile Ministro dell’integrazione del Governo Letta.
Gli ultimi insulti in ordine di tempo arrivano da un post su Facebook di Cristiano Za Garibaldi, vicesindaco di Diano Marina, un piccolo paese della riviera italiana. Il vicesindaco ha detto tra le righe che la dottoressa Kyenge, oculista, ha frequentato nel corso della sua vita ambienti vicini alla prostituzione. Il 25 agosto si è scusato, dando la colpa allo stress per le sue affermazioni.
Altre offese sono arrivate da politici ben più in vista. Nel mese di luglio, uno dei maggiori esponenti della Lega Nord, Roberto Calderoli, ministro durante il precedente Governo e attuale Senatore, ha affermato che il ministro Kyenge gli ricordava un “orango”. Il fondatore dello stesso partito, Umberto Bossi, ha negato qualsiasi forma di razzismo ma ha affermato che la nomina a Ministro della Kyenge ha fatto “incazzare” molta gente.
La questione è diventata motivo di dibattito anche in altri ambiti. Il Ministro ha emesso un comunicato all’inizio del nuovo campionato di calcio, esprimendo la speranza che non si verifichino più casi di cori razzisti come quelli che nel corso dell’ultimo periodo erano stati rivolti soprattutto all’attaccante del Milan, Mario Balotelli. I commenti sul sito internet del Corriere della Sera, uno dei maggiori quotidiani italiani, sono stati incredibilmente negativi. “Nessuna immigrata Congolese può dirmi come comportarmi a casa mia o emanare leggi che distruggano il mio paese”, questo è stato uno dei tanti commenti che si leggono sulla pagina.
Cécile Kyenge continua a rimanere calma, ma ha espresso preoccupazione per la sicurezza delle sue due figlie. Dopo che il leader della Lega Nord, Roberto Maroni, ha ignorato le sue richieste di condanna agli insulti che arrivavano dai sottoposti, il Ministro è stato oggetto di insulti anche nel corso di un’altra manifestazione della Lega.
Il partito è determinato a bloccare qualsiasi proposta della kyenge, prima fra tutte lo Ius Soli, cioè far dipendere la cittadinanza dal luogo di nascita e non dal sangue. Questo faciliterebbe ai figli degli immigrati l’acquisizione della cittadinanza. L’ex alleato della Lega al Governo, il PDL, continua a supportare il partito di Maroni.
Loro continuano comunque ad affermare di non essere xenofobi, ma contrari solo agli immigrati illegali. Peccato che sia difficile trovare una pecca al Ministro Kyenge. È entrata in Italia legalmente per studiare medicina ( anche se ha vissuto illegalmente nel Paese per circa un anno prima di ottenere il permesso di soggiorno). Nel 1994 ha sposato un ingegnere italiano ed è divenuta una cittadina italiana a tutti gli effetti.
Il vergognoso trattamento che la Nazione sta riservando alla Kyenge, prima donna di colore a divenire Ministro, e gli isolati episodi di condanna della situazione, non sono danneggiano l’immagine dell’Italia, ma tolgono qualsiasi credibilità alla diffusa convinzione che l’Italia non sia un Paese razzista. Usando dati risalenti al 2005-2007, il World Values Survey ha scoperto che ll’11.1% degli Italiani non vorrebbe vicini di casa di una razza differente, contro il 4.9% degli Inglesi. Anche tra gli spagnoli, che recentemente ha avuto un’esperienza simile in quanto a immigrati illegali, la proporzione è molto più ridotta (6.9%). Il Ministro Kyenge ha un duro lavoro da fare, in tutti i sensi.
Traduzione a cura di Vittoria Patanè. Fonte: The Economist.
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