Un disoccupato svizzero intenta causa allo Stato perché gli ha trovato un lavoro. Ecco l’incredibile storia accaduta a Berna
L’incredibile storia che stiamo per raccontarvi è stata pubblicata poche ore fa su «La Stampa». A parlarne è Massimo Gramellini che ci descrive questa paradossale (almeno per un italiano) vicenda capitata a Berna, capitale della Confederazione Elvetica.
Prima di spiegarvi cosa è successo però, occorre fare una precisazione: la Svizzera ha un tasso di disoccupazione pari al 2,6%, una percentuale bassissima che è accompagnata da stipendi molto alti percepiti da coloro che invece un lavoro ce l’hanno. E giusto per rimarcare: sono il 97,4%.
Al contrario di quanto avviene in Italia, fuori dai nostri confini chi non ha un lavoro riesce comunque a vivere degnamente, anzi più che degnamente. Il Governo elvetico infatti elargisce ai senza impiego un sussidio ben al di sopra di molti stipendi italiani, ma non solo, si dà da fare anche per trovargli un lavoro, operando quasi come un’agenzia di collocamento.
E qui arriva il nodo cruciale della storia: perché se il lavoro proposto dallo Stato non è di tuo gradimento, come scrive Gramellini, «potrai sempre fargli causa per mancanza di buongusto».
Questa infatti è stata la scelta di un laureato svizzero che però negli ultimi anni non è riuscito a trovare lavoro ed ha vissuto grazie al sussidio garantito dal sistema elvetico.
L’uomo è appena diventato padre e per aiutarlo il Governo gli ha proposto un posto da spazzino. Ovvio, non è il massimo, ma ricordiamo che la Svizzera non è l’Italia e questo mestiere contempla anche la raccolta delle cicche, della cenere e, aprite bene le orecchie, il passare la cera sui marciapiedi. Il tutto per una retribuzione pari a 3.600 euro al mese. Sì, avete capito bene, tremilaseicento euro.
Ma il laureato - disoccupato non ci sta e rimane palesemente turbato dalla proposta ricevuta. Per qual motivo? Non certo per lo stipendio, anche se comunque per lui si potrebbe fare di più, quanto per il poco rispetto che lo Stato, facendogli quest’offerta, ha dimostrato nei confronti del suo percorso di studi. L’uomo è laureato in legge e un quasi avvocato non può certo fare «un lavoro del genere».
A questo punto però, il Governo si è un po’ adirato e ha deciso di imporre al quasi principe del foro un ultimatum: se non accetta il lavoro, non riceverà più il sussidio.
Come ha reagito dunque il permaloso cittadino al «ricatto dello Stato»? Intentandogli causa.
I Giudici però gli hanno dato torto. A questo punto, sembra opportuno pensare che abbia ragione Gramellini quando scrive "forse neanche l’avvocato è il suo mestiere.
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