Domanda energetica in crescita, deficit di offerta e ritardi tecnologici frenano l’industria dell’uranio nonostante l’ondata di investimenti e l’interesse politico globale
Il rinnovato interesse verso l’uranio e l’energia nucleare è il risultato di dinamiche globali convergenti: domanda elettrica in forte aumento, crisi energetica dopo l’invasione russa dell’Ucraina e ridefinizione del nucleare come infrastruttura critica per la sicurezza nazionale.
Questo contesto ha riportato i prezzi ai livelli più alti degli ultimi anni e ha trasformato il settore in una delle aree più discusse della transizione energetica. Tuttavia, sotto l’entusiasmo si nasconde una realtà meno lineare. Il mercato rimane vincolato da un deficit strutturale di offerta, da una produzione mineraria insufficiente e da un ecosistema caratterizzato da scambi ridotti e partecipanti altamente specializzati. Questi elementi amplificano la volatilità e rendono l’industria particolarmente sensibile a ogni shock geopolitico o industriale.
Il deficit tra produzione e consumo non è un fenomeno recente, ma negli ultimi anni si è aggravato. Le miniere esistenti non riescono ad aumentare la produzione con la rapidità necessaria, mentre l’apertura di nuovi siti è rallentata dai costi, dalle normative ambientali e dall’incertezza politica. La crescita del numero di reattori in fase di riavvio o costruzione e l’esplosione della domanda energetica legata ai data center intensificano ulteriormente la pressione. Il risultato è un mercato rigido, privo della flessibilità normalmente associata ad altre materie prime e con una filiera che richiede investimenti consistenti e ritorni su orizzonti temporali molto lunghi. [...]
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