Renzi torna a parlare del Referendum sulle trivelle, ribadendo la sua posizione a favore dell’astensione. Attacca anche il fronte No triv, responsabile, secondo lui, della perdita di 10 mila posti di lavoro e di un inutile spreco di denaro.
Referendum sulle trivellazioni: Renzi riconferma la posizione a favore dell’astensione ed attacca ancora il fronte No triv.
Il premier, in occasione del secondo congresso nazionale dei giovani del partito, si è nuovamente schierato a favore dell’astensione, ricordando come il principio di far fallire un referendum sia stato già attuato dal Pds, progenitore del Pd.
Questo, secondo le parole di Renzi, non significa che all’interno del partito ognuno non sia libero di votare ciò che vuole al prossimo referendum sulle trivellazioni, ma che la linea ufficiale sia quella dell’astensione.
Potrebbe interessarti anche: Referendum trivellazioni, No Triv: votare Sì o No?
Referendum sulle trivellazioni: i perché dell’astensione
Quali le motivazione di questa posizione? In primis, l’idea che buttare 300 milioni (questa la cifra necessaria per la mettere in piedi la consultazione) sia uno spreco, soprattutto in un momento come questo, in cui, ha ricordato Renzi, il denaro potrebbe essere indirizzato a risanare strappi importanti, come quelli nella scuola pubblica.
Il premier ha, infatti, sottolineato come quei soldi potrebbero far molto comodo alle Regioni per dare una mano agli asili.
La posizione di Renzi mette in imbarazzo le Regioni che hanno spinto per il referendum
Le Regioni sono proprio uno dei tasti dolenti della questione: sette delle nove che hanno richiesto il referendum sulle trivelle sono, infatti, amministrate dal Pd. Per questo, quando il premier e capo del partito si è schierato a favore dell’astensione, l’imbarazzo si è diffuso tra i presidenti regionali in questione.
Piero Lacorazza, presidente del Consiglio regionale della Basilicata, si è detto stupito delle dichiarazioni del premier ed ha riaffermato la sua posizione a favore del ‘Sì’. Ma i venti contrari interni al Pd non si sono limitati a questo: anche la minoranza dem si è detta in totale disaccordo con Renzi.
Miguel Gotor ha già dichiarato che voterà ‘Sì’ e Davide Zoggia, parlamentare Pd bersaniano, ha espresso i suoi dubbi sul fatto che il primo partito italiano diserti una votazione, per la quale tra l’altro, sono stati investiti molti soldi. Ancora una volta il Pd si è dimostrato spaccato nelle sue correnti interne.
Il premier ha attaccato il fronte No Triv
Renzi ne ha avute anche per il fronte No Triv, che annovera tra le sue file soprattutto i deputati del M5S. Secondo il premier i No Triv, spingendo per lo stop alle trivelle, si renderebbero responsabili della perdita del posto di lavoro per circa 10 mila persone. Il premier ha, quindi, ribadito:
“Non fatevi prendere in giro: quello del 17 aprile non è un referendum sulle nuove trivelle, che hanno già la linea più dura d’Europa. È un referendum, del tutto legittimo, per bloccare impianti che funzionano. Io lo considero uno spreco”.
La linea renziana è stata appoggiata anche da Debora Serracchiani, vice segretaria del partito, che ha definito il referendum inutile. Ma, intanto, spunta un tweet del 2012 in cui la stessa Serrachiani manifestava la propria opposizione alle trivellazioni in mare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA