Perché il passaporto sanitario non serve a niente

Carmine Orlando

28/05/2020

03/09/2020 - 17:21

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Passaporto sanitario o patente d’immunità: scopriamo in cosa consiste e quali conseguenze potrebbe avere sulla società.

Perché il passaporto sanitario non serve a niente

Nelle ultime settimane si fa un gran parlare di come ottenere il passaporto sanitario per il coronavirus, altrimenti chiamato patente d’immunità da COVID-19.
In vista delle riaperture interregionali previste in Italia per il 3 giugno 2020, hanno insistito sul tema i governatori di Sardegna e Sicilia Solinas e Musumeci.

Il passaporto sanitario richiesto da Sicilia e Sardegna

Il presidente della regione Sardegna Solinas e quello della Sicilia Musumeci pensano a come ricevere i turisti in sicurezza. Entrambi hanno richiesto la patente d’immunità coronavirus, che potrebbe ricevere chiunque risultasse non essere infetto al momento di entrare nel territorio insulare italiano.

Il governo ha provato inizialmente a prendere tempo, ma il Ministro della Salute Speranza e quello degli Affari Regionali Boccia hanno risposto in modo netto affermando che non esistono patenti d’immunità o passaporti sanitari.

Il parere dell’esperto

Il prof. Roberto Cauda, medico chirurgo specializzato in malattie infettive, autore di oltre 400 pubblicazioni e membro di molte società scientifiche, ospite a La7 ha spiegato che questo presunto passaporto sanitario che dovrebbe attestare una guarigione da COVID-19 o l’assenza di un’infettività, semplicemente non esiste.

Il tampone e probabilmente il test salivare sono gli strumenti che possono dimostrare dopo cinque giorni in media se un soggetto è venuto a contatto con il virus e si è infettato. In ogni caso si tratta di una diagnosi del momento, nulla toglie che il giorno successivo possa divenire positivo in seguito a un contatto con una persona infetta.

I test sierologici servono per capire un virus quanto ha circolato in una determinata zona. Questo test è importante per lo studio epidemiologico ma non per dare la patente d’immunità al COVID-19.

Perché il passaporto sanitario non serve a niente

L’Organizzazione mondiale della sanità già lo scorso 24 aprile ha messo in guardia gli Stati dal prendere in considerazione il rilascio di patenti di passaporti sanitari coronavirus. Nessuno è in grado al momento di garantirli, in quanto anche le persone guarite dall’infezione e che hanno sviluppato anticorpi al COVID-19, possono essere dichiarati immuni da un secondo contagio. Mancano le prove scientifiche. Non è dato sapere quale sia la quantità di anticorpi necessaria e soprattutto quale sia la durata dell’immunità presunta.

Molti test sierologici non sono ancora affidabili, una sensibilità bassa non rivelerebbe una misurazione precisa degli anticorpi, stesso discorso per un insufficiente livello di specificità, tutto questo porterebbe a tanti casi di falsi negativi o positivi.

Come sottolinea Nature, ci vorrebbero il doppio dei test sierologici, ammesso che siano affidabili, rispetto al numero di abitanti di una nazione, qualcosa d’irrealizzabile. I guariti sono una piccolissima percentuale della popolazione mondiale, quindi le persone che hanno sviluppato gli anticorpi al COVID-19 sarebbero troppo pochi.

C’è da tenere in considerazione anche il costo di effettuazione di tali test, per cui molti non potrebbero permettersi di pagarli. Poi c’è la questione della privacy, un patentino d’immunità dovrebbe essere digitale, quindi il soggetto sarebbe sempre sotto controllo, cosa inaccettabile in una democrazia.

Le persone non immuni verrebbero trattate come appestati, dando luogo a una discriminazione sociale. A questo punto, se a qualcuno venisse in mente di farsi contagiare per poi poter avere, una volta sviluppato gli anticorpi, il passaporto sanitario?

In conclusione, anche se i test sierologici o qualsiasi altro strumento potessero dare il patentino d’immunità a qualcuno, cosa al momento impossibile, il rischio sarebbe di violare le libertà personali.

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