Perché molti grandi artisti minacciano Spotify

Giorgia Bonamoneta

30 Gennaio 2022 - 23:14

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Rivolta degli artisti (e non solo) contro Spotify e la sua politica del non fare nulla davanti le critiche. Cosa fare del podcast controverso? Ecco cosa sta succedendo.

Perché molti grandi artisti minacciano Spotify

Spotify rischia di non avere più musica da ascoltare? Andiamoci piano. La vicenda che sta facendo discutere gli Stati Uniti, e non solo, vede protagonisti Spotify, Neil Young e Joe Rogan. Tutti nomi di una certa importanza: la piattaforma più nota di musica, un musicista e l’opinionista e podcaster più ascoltato al mondo.

Ma cosa sta succedendo e perché tanti artisti minacciato di eliminare la loro musica dalla piattaforma? Andiamo con ordine.

Cosa sta accadendo tra gli artisti e Spotify: il podcast della discordia

La disinformazione sulla pandemia, l’origine del coronavirus, il vaccino e in generale sulla salute non sono solo argomenti da bar. Purtroppo la disinformazione in campo sanitario è dannosa e pericolosa. Cosa c’entra con Spotify, piattaforma di riproduzione per la musica? Tra i servizi offerti dalla piattaforma ci sono i contenuti vocali, non cantanti, chiamati podcast. Sono trasmissioni che spaziano per tipologie e contenuti.

E proprio su Spotify la disinformazione sta diventando un problema serio. Almeno è quello che una dicono oltre 100 scienziati e accademici che hanno scritto una lettera indirizzata proprio a Spotify. Nella lettera si chiedeva di creare degli strumenti per controllare la disinformazione, un po’ come accade su altre piattaforme come Youtube, Facebook e Instagram.

Al centro del dibattito vi è il più ascoltato podcaster al mondo, Joe Rogan, che con Spotify ha un contratto di esclusiva da 100 milioni di dollari per il suo podcast. Joe Rogan è un opinionista e comico, con un pubblico vasto sì, ma anche fortemente categorizzato: bianco, maschio, giovane.

Spotify e i contenuti di disinformazione di Rogan

Non è sempre stato così. Per quanto controverso, soprattutto su certi argomenti, Rogan ha sempre avuto la capacità di presentare a un pubblico vasto una moltitudine di personaggi diversi. Dall’inizio della pandemia ha iniziato a portare personaggi molto controversi, con tesi antiscientifiche, complottiste e no-vax.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il virologo Rober Malone, che da tempo fornisce dati e informazioni non vere, se non del tutto false, su Covid-19 e vaccini. Proprio in un episodio del podcast di Rogan, totalmente rimosso al momento, Malone ha affermato che gli americani sarebbero sotto un fenomeno di psicosi di massa, come reazione al Covid-19. Non è mancato un riferimento al Nazismo, cioè a come la società tedesca reagì all’ascesa violenta dell’antisemitismo nel Paese.

La protesta degli artisti contro Spotify

È a questo punto che introduciamo l’ultimo tassello: gli artisti in protesta. A iniziare è stato Neil Young, che ha minacciato di rimuovere la propria musica da Spotify se questo non si fosse mosso contro Rogan e il suo podcast. Young non è nuovo a simili affermazioni e in passato aveva già rimosso (e rimesso poco dopo) la sua musica. Una presa di posizione dal valore di 6 milioni di dollari, molto inferiore al contratto pattuito con Rogan.

L’azione di Young è però stata da esempio e seguita anche da Joni Mitchell, una cantautrice canadese. Anche Harry e Meghan stanno cercando di mediare con Spotify, chiedendo un maggior controllo sul “podcast no-vax”.

In Italia nessuno ha preso posizione e al momento solo Jovanotti ha alzato la voce, non contro il podcast no-vax, ma contro lo stesso Spotify. “È importante sapere - ha detto Jovanotti - che non può esistere neutralità quando sei una piattaforma globale che utilizza algoritmi e compone una homepage, percorsi guidati e playlist”. Insomma, a Spotify viene mossa la stessa critica che viene mossa a Joe Rogan: il seguito è enorme e così la responsabilità nei confronti degli utenti. Non si può far finta di nulla, lavarsene le mani, durante una pandemia globale.

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