Una breve analisi dei dati sulle pensioni erogate nel 2012 ci permette di ragionare su come si potrebbero rendere le pensioni più eque senza aumentarne il peso.
Il sistema pensionistico italiano ha gravi problemi e rischia di non essere sostenibile nel lungo periodo anche per via dell’andamento demografico della nostra nazione.
I problemi della previdenza italiana sono conosciuti: tantissime pensioni troppo basse, molte pensioni troppo alte spesso versate senza un congruo versamento di contributi da parte del beneficiario e aliquote altissime per i lavoratori di oggi (pensionati di domani) che vengono salassati in cambio di una pensione futura che, se ci sarà, sarà misera.
Un pdf diffuso dal Casellario Centrale dei Pensionati basato sui dati delle pensioni versate nel 2012 ci permette di fare due conti.
Prima di tutto, ecco il file disponibile per il download:
Oltre 16 milioni di pensioni per 270 miliardi di spesa
Come è possibile vedere dal documento allegato i dati da analizzare sono molti: abbiamo il numero di pensioni versate divise per fasce e l’ammontare di spesa per ciascuna fascia.
Partiamo dai dati aggregati, nel 2012 abbiamo avuto:
- 16.533.152 (16,5 milioni) di pensioni pagate
- 270.469.483.350 € (270,5 miliardi) di spesa totale per queste pensioni
- 16.359 € è l’importo medio annuale per prestazione, ovvero quanto avrebbe ricevuto ogni pensionato se le pensioni fossero state tutte uguali
- 1.363 € è l’importo di cui sopra diviso per 12 mesi, quindi l’assegno mensile che sarebbe spettato a ciascun pensionato (spalmando la tredicesima sui 12 mesi e al lordo delle tasse).
Quante sono le pensioni d’oro?
Le pensioni che eccedono i 24.050€ al mese (50 volte il minimo) sono 291, un numero non altissimo ma comunque significativo.
Sono poi poche migliaia le pensioni che superano i 10.000€ mensili e il numero di pensioni va poi via via aumentando con la diminuzione dell’importo della prestazione mensile.
C’è spazio per maggiore equità?
I numeri parlano chiaro: in Italia abbiamo un sistema che paga poche pensioni molto ricche e molte pensioni "povere". La questione è forse deprecabile di per sé dato che la funzione economica e sociale della pensione è quella di garantire una vecchiaia dignitosa e non il mantenimento del tenore di vita.
Il tutto diventa ancora più grottesco se pensiamo che in questi anni di riforme per rendere il sistema più sostenibile si sta passando (giustamente, per certi versi) a un sistema contributivo: la pensione futura dipenderà dai contributi versati negli anni di lavoro.
Peccato che molte delle pensioni attualmente elargite siano definite dal sistema retributivo: si andava in pensione parametrando la stessa sull’ultimo stipendio percepito, nella maggioranza dei casi il più alto della carriera per pure questioni di anzianità contrattuale, modalità che ha favorito anche pessime pratiche come la promozione "di comodo" a fine carriera tanto nel pubblico quanto nel privato.
In epoca di riforme è assurdo non chiedere un contributo anche a questa classe di pensionati, soprattutto a fronte delle proiezioni di pensione futura per chi oggi è ancora lontano dalla pensione: aliquote INPS altissime e futura pensione misera.
Una possibile soluzione per condividere il peso della riforma
Un elemento importante da tenere presente è che le alte aliquote previdenziali sono un deterrente all’assunzione di lavoratori oggi: il peso per l’azienda e il lavoratore è talmente alto (dal 25% a quasi il 50% della retribuzione netta) che spesso un lavoratore diventa troppo costoso proprio per i contributi INPS che gli si dovrebbero versare, il tutto per poter garantire anche le pensioni d’oro che abbiamo visto nelle righe precedenti.
La soluzione a questa grave ingiustizia sociale e generazionale deve passare per un caposaldo: un CAP (limite) al totale delle prestazioni pensionistiche di cui beneficia ogni cittadino a 4.000€ mensili lordi (più che sufficienti per un tenore di vista dignitoso). Il limite deve essere relativo al totale delle prestazioni e non alla singola pensione (c’è chi ne prende più di una).
Le risorse liberate da questo limite (diversi miliardi di €) dovrebbero poi essere ripartite in questo modo:
- Il 50% ad aumentare l’importo delle prestazioni minime, insufficienti ad oggi per vivere dignitosamente.
- Il 50% ad abbattere le attuali aliquote a carico dei lavoratori, con conseguente beneficio per il mercato del lavoro. Questo porterà ad avere anche più lavoratori, quindi più contributi pagati in totale.
In un’epoca di crisi con alta disoccupazione e disagio sociale è gravissimo che misure del genere non vengano adottate.
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