Paesi Black List: l’elenco dell’Agenzia delle Entrate

Federico Pisanu

14 Dicembre 2019 - 19:09

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Paesi Black List: ecco la lista completa e aggiornata dei paradisi fiscali da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Paesi Black List: l’elenco dell’Agenzia delle Entrate

La definizione più comune dei Paesi inseriti nella Black List corrisponde a paradisi fiscali. Le nazioni identificate come tali fanno parte di uno specifico elenco pubblicato dall’Agenzia delle Entrate.

I soggetti più interessati sono tutti i soggetti che intrattengono rapporti attivi con operatori aventi la residenza o il domicilio presso uno dei Paesi presenti nella lista completa.

Di seguito indicheremo quali sono i Paesi inseriti nella Black List dell’Agenzia delle Entrate, con riferimento alla circolare esatta dell’organismo dipendente dal Ministero dell’Economia.

Spiegheremo poi cosa sono i paradisi fiscali, illustrando gli eventuali adempimenti fiscali per chi - appunto - opera con quest’ultimi.

Inoltre, presenteremo la lista analoga determinata dall’Ecofin (Economic and Financial Affairs Council, Consiglio Economia e Finanza) per l’Unione europea, utile per un confronto con quella italiana.

Quali sono i Paesi nella Black List dell’Agenzia delle Entrate

Per la Black List dell’Agenzia delle Entrate bisogna fare riferimento alla lista dei paradisi fiscali dell’Ecofin aggiornata al 14 novembre 2019:

  • Guam
  • Isole Figi
  • Isole Vergini degli Stati Uniti d’America
  • Oman
  • Samoa
  • Samoa americane
  • Trinidad e Tobago
  • Vanuatu

L’elenco dei Paesi nella Black List dell’Agenzia delle Entrate prima degli ultimi aggiornamenti del Consiglio di Economia e Finanza (Ecofin) era fermo al 2016 e comprendeva le seguenti giurisdizioni:

  • Andorra
  • Bahamas
  • Barbardos
  • Barbuda
  • Brunei
  • Gibuti
  • Grenada
  • Guatemala
  • Isole Cook
  • Isole Marshall
  • Isole Vergini statunitensi
  • Kiribati
  • Libano
  • Liberia
  • Liechtenstein
  • Macao
  • Maldive
  • Nauru
  • Niue
  • Nuova Caledonia
  • Oman
  • Polinesia francese
  • Saint Kitts e Nevis
  • Salomone
  • Samoa
  • Saint Lucia
  • Saint Vicente e Grenadine
  • Sant’Elena
  • Sark (Isole del Canale)
  • Seychelles
  • Tonga
  • Tuvalu
  • Vanuatu

Ai Paesi sopra elencati, inseriti all’articolo 1 della circolare numero 39 datata al giorno 26 settembre dell’anno 2016, si aggiungevano altri dodici paradisi fiscali.

Le limitazioni in virgolettato erano riprese dalla circolare originale caricata sul sito dell’Agenzia delle Entrate disponibile a questo link (pagina 29 del documento).

Ecco la lista completa:

  • Angola: “con esclusione delle società che svolgono attività di esplorazione,
    estrazione e raffinazione nel settore petrolifero”.
  • Antigua: “con riferimento alle international business companies, esercenti le
    loro attività al di fuori del territorio di Antigua, nonché con riferimento alle società che producono
    prodotti autorizzati”.
  • Bahrein: “con esclusione delle società che svolgono attività di esplorazione,
    estrazione e raffinazione nel settore petrolifero”.
  • Dominica: “con riferimento alle international companies esercenti l’attività
    all’estero”.
  • Ecuador: “con riferimento alle società operanti nelle Free Trade Zones che
    beneficiano dell’esenzione dalle imposte sui redditi”.
  • Giamaica: “con riferimento alle società di produzione per l’esportazione che
    usufruiscono dei benefici fiscali dell’Export Industry Encourage Act e alle società localizzate nei territori individuati dal Jamaica Export Free Zone Act”.
  • Kenya: “con riferimento alle società insediate nelle Export Processing Zones”.
  • Monaco: “con esclusione delle società che realizzano almeno il 25% del
    fatturato fuori dal Principato”.
  • Panama: “con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, alle società operanti nelle Export Processing Zones e alle società situate nella Colon Free Zone”.
  • Portorico: “con riferimento alle società esercenti attività bancarie ed alle
    società previste dal Puerto Rico Tourist Development Act del 1993 e dal Puerto Rico Tax Incentives Act del 1988”.
  • Svizzera: “con riferimento alle società non soggette alle imposte cantonali e
    municipali, quali le società holding, ausiliarie e di domicilio”.
  • Uruguay: “con riferimento alle società esercenti attività bancarie e alle holding
    che esercitano esclusivamente attività off-shore”.

Da un punto di vista prettamente geografico, i paradisi fiscali inseriti dall’Agenzia delle Entrate fino al 2016 appartenevano in misura principale alla regione dei Caraibi (11). Insieme ad Antigua e Barbadua, c’erano infatti Bahamas, Dominica, Giamaica, Portorico, Grenada, Isole Vergini statunitensi, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia e Saint Vincent e Grenadine.

L’altra rappresentanza maggiormente folta arrivava dalle isole dell’Oceano Pacifico (12), che faceva registrare un Paese in più rispetto alla sola regione dei Caraibi. Nella lista figuravano le Isole Cook, Isole Marshall, Kiribati, Nauru, Niue, Nuova Caledonia, Polinesia Francese, Isole Salomone, Samoa, Tonga, Tuvalu e Vanuatu.

Anche l’Africa aveva un peso importante nell’elenco con cinque nazioni. Si annoveravano infatti gli stati di Angola, Gibuti, Kenya, Liberia e Seychelles.

L’Asia concorreva con Bahrein, Libano e Oman in Medio Oriente, mentre a rappresentare il resto del continente asiatico c’erano Brunei, Macao e Maldive.

Non era nemmeno da sottovalutare il ruolo delle nazioni del Centro e Sud America (in totale 3): Ecuador, Panama e Uruguay.

Infine il Vecchio Continente (6): oltre alle Isole del Canale e Sark, i riflettori erano accesi su Andorra, Liechtenstein, Monaco e Svizzera.

Perché la Black List dell’Agenzia delle Entrate non viene più aggiornata

Formalmente la Black List dell’Agenzia delle Entrate non è aggiornata all’ultimo anno in corso perché è stata superata dal decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio per il 2017, che ha disposto “l’abrogazione delle comunicazioni black list”.

Fino all’anno 2001 era invece obbligatoria la comunicazione annuale all’Agenzia delle Entrate, qualora le operazioni intercorse con società residenti o domiciliate nei paradisi fiscali fossero superiori alla somma di diecimila euro.

L’emendamento presentato prima dell’approvazione del testo relativo al decreto fiscale ricevette il pass verde da parte della Commissione Bilancio e Finanze della Camera dei Deputati.

In origine, dunque, l’elenco dell’Agenzia delle Entrate era indispensabile per consentire ai soggetti interessati di ottemperare alle disposizioni fiscali previste dalla legge. Da quando la comunicazione non è più obbligatoria, non vi è nemmeno più la necessità da parte dell’organismo dipendente dl Ministero dell’Economia e delle Finanze di aggiornare la Black List.

Di conseguenza, l’ultima lista presente nella circolare 39 del settembre 2016 viene preceduta dalla seguente frase: “Nella tabella sottostante viene riassunta la situazione dei Paesi indicati nel d.m. 23 gennaio 2002, vigente al 31 dicembre 2015”. L’aggiornamento finale risale dunque alla fine del 2015.

Cosa sono i paradisi fiscali inseriti nella Black List dell’Agenzia delle Entrate

I paradisi fiscali sono Stati aventi regimi fiscali privilegiati.

Nelle nazioni sopra citate le tasse da pagare sono nettamente inferiori rispetto alla somma media complessiva saldata dai cittadini che vivono nei Paesi non inseriti nella Black List. Inoltre, essi non provvedono allo scambio dei dati fiscali con gli altri Stati.

È doveroso sottolineare che i paradisi fiscali incidono in maniera assai negativa sul bilancio fiscale di uno Stato.

A tal riguardo, si può citare una [recente ricerca condotta da Gabriel Zucman (Università di Berkeley in California) e dal duo Ludvig Wier e Thomas Tørsløv (Università di Copenaghen), secondo cui la perdita di gettito per il fisco italiano ammonterebbe a 7,3 miliardi di euro ogni anno (a fronte di un trasferimento di denaro complessivo di 23 miliardi).

Sorprende come 8 paradisi fiscali su 10 scelti dalle società che operano in Italia e muovono somme denaro superiori a 23 miliardi siano appartenenti geograficamente all’Europa.

Lo studio, intitolato The Missing Profits of Nations (I profitti persi delle nazioni), è stato presentato a inizio settembre, presso il Fondo Monetario Internazionale (in precedenza guidato dalla francese Christine Lagarde, nominata nuova presidente della Banca Centrale Europea).

Per una lettura più approfondita, vi rimandiamo alla guida specifica su come funzionano i paradisi fiscali.

I paradisi fiscali nella Black List dell’Unione Europea

La Black List dell’Unione Europea si compone di 8 giurisdizioni ed è aggiornata al 14 novembre 2019:

  • Guam
  • Isole Figi
  • Isole Vergini degli Stati Uniti d’America
  • Oman
  • Samoa
  • Samoa americane
  • Trinidad e Tobago
  • Vanuatu

La prima approvazione di una Black List a livello europeo risale al 2017. Allora furono etichettati come paradisi fiscali Guam, Trinidad e Tobago, Samoa americane e Samoa, oltre alle Isole Vergini americane.

Nel marzo del 2019, il Consiglio Economia e Finanza (Ecofin) europeo aveva deliberato una nuova lista, a cui si erano aggiunti altri dieci Paesi.

Fra tutti, sorprendeva la presenza degli Emirati Arabi Uniti tra i Paesi considerati dall’Ue non cooperativi ai fini fiscali. L’inserimento dello Stato del Medio Oriente nella Black List europea era stato osteggiato da Italia ed Estonia, che avevano espresso in più di un’occasione la loro contrarietà.

L’Arabia Saudita è stata poi depennata dal nuovo elenco aggiornato alla metà di novembre.

L’obiettivo che l’Unione Europea si prefigge con la lista dei paradisi fiscali è raggiungere una maggiore trasparenza e una migliore governance, oltre a combattere l’evasione e superare la frammentazione degli elenchi redatti a livello nazionale.

Conclusioni

L’approfondimento sulla Black List dell’Agenzia delle Entrate termina qui. Prima di andare, vi invitiamo alla lettura dei migliori 10 paradisi fiscali.

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