Opere pubbliche: il “nuovo” fallisce ancora. Il caso AV Verona/Padova

Erasmo Venosi

23 Maggio 2016 - 09:25

L’innovazione delle opere pubbliche fallisce ancora: l’esempio eclatante del progetto alta velocità Verona/Padova.

Opere pubbliche: il “nuovo” fallisce ancora. Il caso AV Verona/Padova

Il presunto “nuovo” delle procedure per le opere pubbliche, soprattutto per gli investimenti nelle grandi opere ferroviarie, lo possiamo toccare con mano a Vicenza nell’ambito del progetto alta velocità Verona/Padova.

Un misto di falsificazioni, demagogismo, frantumazione di regole legislative sostituite da accordi tra soggetti eterogenei privi di qualsivoglia competenza e soprattutto legittimazione.

Alla fine ne nasce un grande, pericoloso e costoso papocchio spacciato per procedura democratica su scelte tecniche ammantate da neutralità pseudo scientifica. Scelte predefinite e funzionali al saccheggio del territorio per fini di speculazione urbanistica e piattaforma di lancio di qualche cariatide nel forse nuovo Senato renziano.

Tutto coerente con l’antica tara che ha segnato la classe dirigente italiana.

La bandiera italiana dovrebbe contenere le parole che Tancredi dice a suo zio, il principe di Salina, nel Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.

Nuovo Codice appalti che dovrebbe combattere la corruzione? Solo il 20% degli appalti, quelli sopra il milione di euro, sono di competenza dell’Anac. Otto appalti su 10 continuano a essere a trattativa privata.

La partecipazione, la trasparenza?
Chiacchiere frantumate dal neocesarismo bonsai della riforma Madia che introduce il “silenzio assenso” anche su procedure che riguardano la compatibilità ambientale e il parere negativo degli enti può essere superato con approvazione in Consiglio dei Ministri.

Infine il cosiddetto “sblocca opere”, che consente al Capo del Governo di individuare ogni anno un elenco di opere pubbliche, che inserito in un decreto e con approvazione in consiglio dei ministri decide il dimezzamento dei tempi di approvazione e in caso contrario il presidente del Consiglio approva i progetti con poteri sostitutivi.
Insomma l’apoteosi per business man, lobby, faccendieri che detestano la partecipazione e le procedure di sostenibilità ambientale.

Partecipazione? Della Convenzione di Aarhus fondata sui tre pilastri della libertà di accesso all’informazione ambientale del diritto di partecipazione del pubblico ai processi decisionali, e infine della possibilità di attivare la tutela giurisdizionale per garantire tali diritti, l’ultimo è totalmente inattuato mentre gli altri due principi con gran fatica sono attuati.

Ne è un riscontro proprio il progetto AV Verona /Padova.
A novembre si annuncia un progetto che non consente la partecipazione su questioni ambientali e che viene recuperato tre mesi dopo a causa di rimostranze e interrogazioni parlamentari.
Infatti a fine novembre viene prodotta la informazione ambientale che è tanto deficitaria da indurre il Ministro dell’Ambiente a richiedere integrazioni a “palate”. Alcuni giorni fa il rilevante, enigmatico e grave fatto nuovo.

Il Ministero dell’Ambiente sul suo sito, sotto la denominazione “ripubblicazione” riporta due documenti che riguardano le questioni d’impatto ambientale del progetto e 38 documenti che riguardano l’uso delle terre e rocce da scavo - trasformate nella maggioranza dei casi. Dopo almeno due decenni di conflitto, il progetto è stato portato avanti dai costruttori, da rifiuti speciali in sottoprodotti da riutilizzare a certe condizioni.

Il fatto grave di questa vicenda è che non è stata resa pubblica nelle forme dovute la possibilità dei cittadini di partecipare al procedimento attraverso le osservazioni e il gravissimo, sottostimato e oggettivamente pericoloso problema dei cosiddetti PFAS - ovvero la presenza di sostanze perfluoroalchiliche nelle acque dei bacini di alcuni fiumi e addirittura nelle acque della falda.

La conoscenza di questo inquinamento è datata maggio 2011 e il soggetto che l’ha rilevato è l’Istituto di Ricerca sulle Acque del CNR, dati confermati dall’Agenzia Regionale dell’Ambiente del Veneto. I PFAS sono interferenti endocrini ovvero sostanze capaci di alterare l’equilibrio ormonale.

Il PFOS e suoi derivati sono stati inseriti, con il regolamento UE n.757/2010, nell’elenco degli inquinanti organici persistenti (POPs). Nella Direttiva 2013/39/UE, il PFOS è stato incluso nella lista delle sostanze pericolose prioritarie per le acque. La vigente normativa consente di utilizzarlo come sottoprodotto le terre e rocce da scavo.

Considerato che la falda acquifera freatica nel territorio di cui stiamo parlando è a pochi metri dalla superficie e che gli scavi per realizzare l’opera riguardano milioni di metri cubi appare opportuno ai fini del riutilizzo delle terre scavate fare una riflessione scientifica seria e adeguare la vigente normativa sulle terre scavate.

La normativa prevede la redazione di un piano che viene valutato dal Ministero dell’Ambiente che tra i molti limiti rigidi prevede l’obbligo di sottomissione del test di cessione il terreno da riporto oggetto di scavo ed effettuato sui materiali granulari, ai sensi del DM Ambiente del 5 febbraio 1998, per escludere i rischi di contaminazione delle acque sotterranee.

La situazione di grave inquinamento dovrebbe prevedere i PFAS tra i parametri analitici da considerare. Attualmente, per esempio, vi sono considerati metalli, cromo, idrocarburi (IPA), amianto. La questione assume un carattere ancor più grave considerata la serie di siti inquinati presenti lungo il tracciato interessato all’opera.

Di tutto questo non c’è nessuna traccia né da parte del ministero dell’Ambiente né tantomeno di quello dei Trasporti in “missione elettorale” in Veneto e responsabile primario di quest’anomala procedura su un progetto dai costi inaccettabili - considerata la situazione del Paese.

Afoni anche le opposizioni in parlamento e gli organismi di vigilanza istituzionale. Una situazione senza precedenti che caratterizza senza ombra di dubbio negativamente questo Governo del presunto nuovo.

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