Minimi tariffari e decoro dell’avvocato: la sentenza della Corte di Cassazione

Isabella Policarpio

4 Gennaio 2019 - 10:20

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In tema di liquidazione delle spese di giudizio, la Cassazione ha ribadito il rispetto dei minimi tariffari del DM n. 55, in considerazione del decoro professionale. Ecco la decisione.

Minimi tariffari e decoro dell’avvocato: la sentenza della Corte di Cassazione

Con una recente decisione, la Corte di Cassazione ha ribadito la prevalenza del DM n. 55, recante le tabelle con i parametri per la retribuzione dell’avvocato, rispetto al più generico ed antecedente DM n. 140, sul calcolo del compenso professionale.

Nel caso di specie, che andremo di seguito ad analizzare, i giudici della Cassazione hanno cassato un provvedimento emesso dalla Corte d’Appello di Perugia, poiché contrario ai minimi tariffari previsti e, quindi, al decoro professionale dell’avvocato.

La decisione della Corte di Cassazione, in verità più volte ribadita anche in passato, fa emergere l’attualità del problema della retribuzione degli avvocati: infatti la logica del libero mercato, secondo la quale prevale l’accordo tra il legale ed il suo assistito, spesso contrasta con la dignità professionale dell’avvocato, tanto che la Corte si vede costretta a ribadire il rispetto dei minimi tariffari.

Il caso

La pronuncia della Corte di Cassazione trae origine da una decisione della Corte d’Appello di Perugia del 2017. In particolare, la ricorrente chiedeva un indennizzo per l’irragionevole durata di un processo - oltre 7 anni - svoltosi presso la Corte d’Appello di Roma.

La Corte d’Appello territoriale ha accolto la domanda della ricorrente e, con il decreto del 31 gennaio del 2017, ha condannato il Ministero della Giustizia - convenuto in giudizio - al pagamento delle spese di lite in favore dei ricorrenti attuali. Nello specifico, la condanna ammontava a 203 euro per compensi per distrazione, ex articolo 93 del Codice di Procedura Civile.

A questo punto la ricorrente ha deciso di adire la Corte di Cassazione. Quale il motivo del ricorso?

La ricorrente si è rivolta alla Corte di Cassazione per denunciare la falsa applicazione, nonché violazione, dell’articolo 91 del Codice di Procedura Civile (condanna alle spese alla parte soccombente ed onorari della difesa), dell’articolo 2233 del Codice Civile (nella parte in cui recita “la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione”) e, soprattutto, del DM n. 55 del 2014, in quanto il compenso liquidato era così basso da ledere la dignità della categoria.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con l’ordinanza n. 32575 del 17 dicembre 2018 (di sotto allegata), ha accolto i motivi del ricorso.

In prima analisi, gli ermellini hanno spiegato che il DM 55/2014 con i parametri tabellari prevale sul DM n. 140 sui compensi professionali sia in quanto successivo sia perché dotato di maggiore specificità. Ne deriva che il giudice di merito è tenuto a rispettare il DM n. 55, il quale detta tutti i criteri da rispettare per la liquidazione delle spese di giudizio.

Dunque, la Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso poiché la tariffa di 203 euro decisa in Appello è inferiore ai minimi tariffari imposti dal DM n. 55.

Gli ermellini hanno poi deciso la causa nel merito, stabilendo un nuovo ammontare al compenso del professionista: nello specifico 1198,50 euro, di cui 255 euro per la fase di studio, 255 euro per la fase introduttiva, 283,50 per la fase istruttoria e 405 euro per quella decisionale.

Infine i giudici della Corte hanno citato quanto stabilito in una precedente decisione (ordinanza n. 29524 dell’11 dicembre 2017) dove si dice chiaramente che:

“Il giudice del merito non può liquidare le spese di giudizio in misura inferiore ai minimi previsti dalla tariffa forense.”

Corte di Cassazione, ordinanza 32575/2018
Clicca qui per vedere il testo della decisione

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