Lavoro nell’ambito della famiglia: quando si può parlare di impresa familiare

Manuela Margilio

25/08/2014

Come viene disciplinata dalla legge l’impresa familiare, quali sono i diritti e i doveri dell’imprenditore e dei familiari che collaborano.

Lavoro nell’ambito della famiglia: quando si può parlare di impresa familiare

L’introduzione nel nostro ordinamento giuridico dell’istituto dell’impresa familiare nasce dall’esigenza di tutelare il valore del lavoro dei familiari che in maniera continuativa prestano la loro opera nell’ambito di una struttura imprenditoriale di tipo familiare. Il legislatore ha in sostanza voluto evitare forme di sfruttamento del familiare, riconoscendo adeguata tutela a chi collabora all’interno dell’impresa. L’intento della normativa, che trova fondamento nel codice civile (art. 230 bis), è quello di rafforzare il vincolo familiare, facendo comunque salva la possibilità di prevedere tra i componenti della famiglia dei rapporti giuridici diversi dal vero e proprio rapporto di lavoro o dalla società.

Si parla di impresa familiare quando nell’impresa collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado.
Non è detto che il lavoro dei familiari prevalga su quello di altri dipendenti estranei e che l’impresa familiare sia necessariamente una piccola impresa.

Secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale l’impresa è di tipo individuale e nell’ambito dei rapporti esterni con terzi l’imprenditore assume in proprio i relativi diritti e obbligazioni. Ne consegue che il familiare collabora con il proprio lavoro nell’impresa altrui e non vi è la gestione in comune della stessa.
L’attività lavorativa del familiare deve essere svolta in maniera continuativa, cioè con regolarità; questo non significa che il familiare deve esercitare le proprie prestazioni a tempo pieno poiché egli può dedicarsi anche ad altre attività. La continuità dell’apporto non richiede la presenza in azienda per tutta la giornata lavorativa.

Diritti del lavoratore familiare
I diritti del lavoratore familiare, intesi come diritti di partecipazione, hanno sia contenuto economico che amministrativo; per quanto riguarda i diritti di tipo economico si tratta del:

  • diritto al mantenimento;
  • diritto alla partecipazione agli utili e ai beni acquistati con essi, che in caso di disaccordo, verrà deciso dal giudice;
  • diritto su una quota degli incrementi dell’azienda compreso il maggior valore di avviamento.

Il familiare che presta la sua opera di lavoro acquisisce il diritto al mantenimento commisurato alla situazione patrimoniale della famiglia; tale diritto permane anche in caso in cui l’impresa sia in perdita o non produca profitti. In caso di utili, il familiare ha il diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa in maniera proporzionale alla qualità e quantità del lavoro svolto.

I familiari, in una certa misura, partecipano anche al rischio di impresa. Se l’impresa è in perdita lavorano senza remunerazione, salvo il diritto ad essere mantenuti. Tuttavia, solo il titolare dell’impresa risponde con tutto il suo patrimonio, nei confronti dei suoi creditori e lui solo fallisce in caso di insolvenza.

Dalla partecipazione all’impresa familiare discendono, oltre ai diritti di natura patrimoniale, anche diritti di carattere gestionale.:

  • sulla gestione straordinaria e sugli indirizzi produttivi dell’impresa;
  • sull’impiego degli utili e degli incrementi;
  • sulla cessazione dell’impresa.
    La gestione ordinaria invece, come il potere direttivo sui dipendenti, spettano al titolare dell’impresa.
    I familiari, nelle questioni ad essi riservate, deliberano a maggioranza. I diritti di amministrazione ad essi spettanti producono effetti solo all’interno dell’impresa e non assumono rilevanza alcuna per i terzi; questo comporta che gli atti eventualmente posti in essere dall’imprenditore contro la volontà dei familiari conservano piena validità ed efficacia nei rapporti con i terzi.

Cessazione dei diritti di partecipazione

Il complessivo diritto di partecipazione sopra descritto termina con la cessazione della attività lavorativa e può essere liquidato in denaro; può essere altresì ceduto con il consenso unanime degli altri partecipanti all’impresa familiare, solo ad altri componenti della famiglia, mai ad soggetto estraneo.
In caso di divisione ereditaria o trasferimento dell’azienda si riconosce a ciascun partecipante un diritto di prelazione.

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