La destra suprematista è insorta con la sconfitta di Trump?

Glauco Maggi

30 Novembre 2020 - 10:36

In che cosa si è risolta la campagna dei media del mainstream che, prima del voto del 3 novembre, avevano terrorizzato l’opinione pubblica sulla incombente insurrezione della destra suprematista bianca nel caso Trump non avesse vinto e l’avesse aizzata alla ribellione? In nulla.

La destra suprematista è insorta con la sconfitta di Trump?

Il popolo conservatore è “law & order” nel suo carattere fondamentale, e ha digerito senza sussulti degni di nota l’esito sfavorevole dalle urne. Nelle prime settimane post sconfitta, Trump ha minacciato fuoco e fiamme con la retorica di chi si sentiva defraudato dai brogli e ha scatenato i suoi avvocati ad avviare cause e ricorsi nei cinque o sei stati apparentemente ancora incerti, ma assegnati a Biden correttamente, anche se frettolosamente in qualche caso, dai giornali, dall’agenzia AP, dalle Tv, Fox News compresa.

Che cosa ha prodotto la serie disperata dei tweet dalla Casa Bianca in termini di ordine pubblico? Nulla. La “piazza di destra” non si è materializzata in alcun atto significativo di reazione nichilista o insurrezionale. Se c’è’ stata qualche scaramuccia di strada, a causarla sono stati semmai i gruppi di Black Lives Matter e Antifa, mobilitati per attaccare i raduni al 100% pacifici dei sostenitori del presidente.

La marcia pro Trump di Washington, il 14 novembre, è stata teatro di scene raccapriccianti, con donne, vecchi e bambini maltrattati dai militanti di sinistra. Lo mostra una serie di video rintracciabili, tra gli altri, nell’articolo datato 15 novembre sul sito Renovation21. C’è la scena della bancarella, gestita da un simpatizzante nero di Trump, vandalizzata perché esponeva materiale MAGA. C’è una madre che cerca di fuggire dalla zona con la figlia piccola. La bambina viene gettata a terra nel bel mezzo della rissa. In un altro filmato rivoltante, un anziano elettore di Trump è spinto a terra e viene pure umiliato dal lancio di un liquido sul suo corpo.

Il sindaco Democratico della capitale aveva ribattezzato molti mesi fa una piazza a due passi dalla Casa Bianca “Black Lives Matter”, e i suoi militanti a elezioni vinte hanno celebrato quel “tributo” con la tecnica, in uso da tempo come contorno dei cortei violenti, dell’assalto ai clienti “borghesi” seduti ai tavoli dei bar e dei ristoranti del quartiere. La polizia è dovuta intervenire per proteggere l’ingresso dell’Hotel Hilton, vicino a BLM Plaza, dall’attacco dei vandali. La campagna elettorale del 2020 passerà ovviamente alla storia per gli 80 milioni di voti a Biden e i 73,9 milioni a Trump: nessuno aveva mai vinto, e nessuno aveva peraltro mai perso con simili risultati, che pongono i due al primo e al secondo posto di sempre nelle corse presidenziali. Obama, per dare una prospettiva, prese 69,5 milioni di voti nel 2008 e 65,9 nel 2012.

Il fanatismo politico non è solo di destra

Se si cerca un’immagine-simbolo del clima della vigilia del voto, però, a imporsi sono i negozi, i ristoranti e gli alberghi nei centri delle città, dal cuore politico di Washington DC attorno alla BLM Plaza ai templi dello shopping sulla Quinta Strada e sulla Madison Avenue a New York. Tutti con le vetrine e gli ingressi coperti da assi di legno. Tutti rassegnati a fronteggiare il ripetersi dei devastanti vandalismi che avevano contrassegnato i cortei delle proteste anti-razzismo e anti-Trump, in realtà anti-polizia e anti-sistema. I sondaggi raccontavano di una imminente e larga vittoria di Biden, e i media allertavano il Paese per la probabile guerra civile che i trumpiani inviperiti per la batosta avrebbero scatenato. Biden aveva da mesi assicurato che se Trump si fosse rifiutato di andarsene con le buone il 20 gennaio, ci avrebbe pensato l’esercito.

La realtà è che tutti sapevano da quale albero sarebbero caduti i frutti velenosi del fanatismo in mobilitazione perenne. E che questo albero era quello rappresentato dal braccio armato del partito Democratico, le truppe con la divisa nera degli Antifa e le frange radicali dei Black Lives Matter, di fatto un gruppo che si è reinventato recuperando la tradizione delle Pantere Nere. Negli Anni Sessanta, la filosofia radicale dell’ala del movimento dei neri che osteggiava il reverendo Martin Luther King e la sua strategia di disobbedienza pacifica pro diritti civili all’interno del sogno americano (“I have a dream…”) era basata sul marxismo delle Pantere Nere. Ma era una corrente extra-sistema, apprezzata solo dagli ultraliberal dell’Upper West Side" ridicolizzati dal dissacrante scrittore Tom Wolfe, che coniò per loro, in un saggio del 1970, il termine “Radical chic”.

Oggi i BLM e gli Antifa sono diventati mainstream nell’universo di un partito Democratico che ospita a pienissimo titolo i Bernie Sanders e le Alexandria Ocasio Cortez, orgogliosi del loro marxismo alla cubana. Sono tanto utili alla causa liberal, Antifa e BLM, intoccabili e legittimati, che neppure una volta Joe Biden li ha citati per nome, prima e dopo il voto, quando non ha potuto esimersi dal commentare sia pure di sfuggita gli autori di violenze ai cortei contro i trumpiani. La verità è che Trump ha avviato la transizione, come doveva. I conservatori e i repubblicani non hanno commesso alcun atto di protesta men che civile. E i negozianti e la cittadinanza tutta hanno evitato le giornate da tregenda che erano in serbo per loro se avesse vinto Trump. Le assi sulle vetrine possono essere rimosse. Fino alla prossima occasione.

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