L’Italia è crollata all’ottavo posto della classifica mondiale dei grandi produttori manifatturieri, perdendo tre posizioni nel giro di pochi anni
Nell’ultimo rapporto “Scenari Industriali”, elaborato come al solito dal Centro studi Confindustria (CsC), è stato posto l’accento sul declino industriale dell’Italia nel periodo che va dal 2001 al 2013, durante il quale l’invidiata manifattura del Belpaese è stata superata da alcuni rampanti mercati emergenti. In particolare la flessione della produzione industriale, in media del 5% ogni anno tra il 2007 e il 2013, è costata all’Italia la perdita di alcune posizioni nella graduatoria mondiale dei principali produttori manifatturieri: si è passati dal quinto all’ottavo posto, a seguito del sorpasso dell’India (ora sesta) e del Brasile (settimo). I due giganti “emergenti” hanno registrato rispettivamente una crescita della produzione industriale del 6,2% e dello 0,8%.
Tra il 2001 e il 2013, invece, il nostro paese ha registrato una significativa emorragia di posti di lavoro: 1.160.000 addetti sono usciti dal settore manifatturiero, dove ben 120.000 aziende sono state costrette ad abbassare la saracinesca. L’Italia è così soltanto ottava nella classifica dei principali paesi manifatturieri del mondo: le primissime posizioni sono occupate da Cina, Stati Uniti, Germania e Corea del Sud. Per comprendere la portata del declino della manifattura italiana, basta analizzare un dato in particolare: da inizio secolo l’aumento dei volumi prodotti a livello globale è stato pari al 36,1%, ma per l’Italia c’è stato invece un vistoso calo del 25,5%. Secondo gli esperti del CsC, il crollo va imputato soprattutto alla flessione della domanda domestica e all’aumento del costo del lavoro.
Inoltre vanno ricordati altri fattori negativi per l’industria italiana, come la stretta creditizia e la caduta della redditività su livelli minimi. CsC fa notare che molte aziende italiane dedite all’export stanno cercando di rinnovarsi, aggiungendo valore al prodotto con obiettivi di lungo periodo adottando significativi cambiamenti sia dal punto di vista strategico che organizzativo-logistico. Ciò si è tradotto in un miglioramento del Trade Performance Index, ma non è stato comunque possibile “impedire la massiccia erosione della base produttiva”. CsC ricorda che l’Italia non è l’unico paese europeo a trovarsi in simili condizioni (tranne le “mosche bianche” Germania e Polonia), con l’export in difficoltà anche a causa dell’euro troppo forte. Servono chiaramente misure tempestive per raddrizzare la situazione prima che sia troppo tardi: sono attese risposte concrete dal governo, magari riproponendo finalmente una vera politica industriale come già accade in altri paesi avanzati.
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