In questi giorni non si fa altro che parlare del ritorno ad una guerra valutaria. Questa volta la causa prossima sembra essere la politica pubblicamente dichiarata del nuovo governo giapponese volta a scrollarsi di dosso un malessere economico pluridecennale. Si tratta di un altro fuoco di paglia ,o ci sono fattori più profondi alla base?
Le ricorrenti “guerre valutarie", tuttavia, non sono eventi casuali e senza conseguenze. Fino a quando non vi è una ripresa per le economie delle grandi potenze commerciali o un cambiamento significativo nel mix di politiche nazionali, dovremmo aspettarci che le guerre delle valute continuino a scoppiare come un’eruzione.
L’argomento dell’inevitabilità
C’è una certa aria di rassegnazione - quasi di inevitabilità - ai commenti sulla guerra delle valute. L’argomento è più o meno questo. Si inizia con l’osservare l’opinione ampiamente condivisa secondo cui una delle lezioni più importanti dagli anni ‘30 è che crisi economiche come queste richiedano politica monetaria attiva. Pompare liquidità nel sistema bancario, ecc è visto da molti come un ruolo legittimo da parte delle banche centrali durante le crisi. In un mondo di flusso dei capitali relativamente libero e in un momento in cui la maggior parte dei paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo hanno respinto, gestito e fissato regimi di tasso di cambio , allora le decisioni di politica monetaria nazionale probabilmente incideranno sui valori nominali della moneta.
Quando i differenziali dei tassi d’interesse e i movimenti dei tassi di cambio hanno effetti a catena per i partner commerciali, allora seguono sempre accuse di guerre valutarie. Mentre le maggiori economie industriali rimangono in stasi, le differenze nei tempi di allentamento della politica monetaria e simili risulteranno in ripetute accuse di praticare la politica del "beggar-thy-neighbour" e quindi la guerra valutaria si leggerà come un libro con molti capitoli. Prima di disimballare questa catena di logica un po’ di più, vale la pena in primo luogo notare che l’apparente inevitabilità ha portato a cinque razionalizzazioni per l’attuale guerra di valute.
Cinque razionalizzazioni
Le accuse che i governi siano alle prese con una guerra valutaria hanno avuto diverse risposte piuttosto robuste. Come vedremo, queste stesse risposte sono piuttosto rivelatrici.
Esse sono:
- La difesa “si stanno solo eseguendo gli ordini”
Questa difesa è stata ben spiegata da Philipp Hildebrand, l’ex capo della Banca nazionale svizzera, in un pezzo sul Financial Times. A suo avviso, le banche centrali non hanno dichiarato guerra ai loro partner commerciali. Piuttosto hanno cercato di far rivivere le loro economie nazionali adottando misure - e questo è importante - che sono del tutto coerenti con i loro mandati legali. Naturalmente, i critici difficilmente potranno essere soddisfatti (a) in quanto gli effetti transfrontalieri negativi a catena dell’allentamento monetario sono quelli che sono, (b) in quanto solo perché qualcosa è permesso non significa che sia la cosa giusta da fare e (c) infine questa difesa dimostra quanto provinciali siano i mandati delle banche centrali.
- La difesa "senza malizia"
Nella dichiarazione di questa settimana i G7 hanno implicitamente offerto questa difesa (G7 2013). Secondo il loro punto di vista, una politica monetaria che non cerca di indirizzarsi ai tassi di cambio va bene. Non era in programma nessun danno, quindi qual è il problema? I critici punteranno agli effetti negativi dell’allentamento monetario ai partner commerciali e non si accontenteranno di garanzie sull’intento.
- La difesa dell’omelette
La difesa dell’omelette è il riconoscimento finale della tesi dell’inevitabilità. Se "non si può fare una omelette senza rompere qualche uovo", supponendo che si desidera una omelette, allora si accetta il destino delle uova. Vedere i loro interessi commerciali e le riprese delle loro economie trattati come tali uova è esattamente quello che preoccupa i politici nei mercati emergenti.
- Il contro-attacco dei titoli di giornale
Si dice a volte che l’attacco è la migliore forma di difesa. In questo caso, ciò equivale a sostenere che coloro che sollevano preoccupazioni circa la guerra valutaria stanno cercando di sviare le critiche dalle proprie scelte politiche. Le accuse sulle politiche beggar thy neighbour da parte dei partner commerciali sono solo una cortina di fumo per il fallimento delle politiche nazionali. Le notizie di questa settimana suggeriscono che le preoccupazioni dei governi sulla guerra delle valute si sono diffuse al di là dei “soliti sospetti", per cui non tutti i critici potranno essere vulnerabili a questo contro-attacco .
- La difesa Connally
La difesa dell’omelette non è l’unica opzione disponibile per i grandi paesi impegnati in pratiche di allentamento monetario. Il fatto che la critiche precedenti non sembrano aver alterato il comportamento delle banche centrali suggerisce che ci può essere un altro elemento nei loro calcoli. I responsabili delle politiche di allentamento monetario e in alcuni casi di diretti interventi valutari (come la Svizzera) possono aver concluso che i loro partner commerciali o non avrebbero osato o in ultima analisi non erano interessati a vendicarsi o ancora che le opzioni politiche a disposizione nei confronti dei partner commerciali erano così spiacevoli, da non prenderle neanche in considerazione. Si tratta della versione di difesa Connally, che prende il nome dal segretario del Tesoro degli Stati Uniti, che aveva reagito alle critiche europee sulla politica economica degli Stati Uniti nel 1971, dicendo: " Il dollaro è la nostra moneta, ma il vostro problema". Secondo questo punto di vista, il resto del mondo può solo adeguarsi alla realtà dell’allentamento monetario e vivere con le sue conseguenze.
Era inevitabile?
È possibile progettare una ripresa economica che tenga conto delle lezioni della storia, facendo il minor danno minore possibile - anche potenzialmente apportando dei benefici –ai partner commerciali stranieri?
Di sicuro ad alcuni non piacerà questa domanda, ragionamento senza dubbio in questo modo: quando (non se) l’allentamento monetario porta alla ripresa economica, l’espansione associata nella spesa aziendale e personale aumenterà la domanda di beni e servizi stranieri, così nel lungo periodo tutto sarà soddisfacente per i partner commerciali, anche con l’allentamento monetario. Tuttavia, la questione è un’ottima questione, perché se ci sono alternative plausibili, allora (a) forse la guerra delle valute non era inevitabile oppure (b) le decisioni di non perseguire queste alternative politiche puntano il dito a cause sottovalutate della guerra valutaria.
Prendendo come dato certo il fatto che l’effetto dell’allentamento monetario sul tasso di cambio avrà delle conseguenze negative, almeno nel breve periodo, i partner commerciali esteri, quali altre misure complementari avrebbero potuto adottare per limitare le tensioni internazionali? Una di queste misure sarebbe stata quella di coniugare l’allentamento monetario con una politica fiscale espansiva. Nella misura in cui quest’ultima direttamente o indirettamente aumentasse la domanda delle importazioni, allora questo compenserebbe, forse completamente, l’impatto di qualsiasi deprezzamento valutario da parte dei paesi industrializzati. Visto in questa luce, non meraviglia che i partner commerciali erano preoccupati del fatto che le svalutazioni monetarie che hanno accompagnato le misure di austerità (politica fiscale restrittiva) nelle economie industrializzate avessero ulteriormente danneggiato i loro interessi commerciali. L’adozione di misure di austerità dal 2010 ha chiuso la porta a misure politiche che avrebbero potuto attenuare le tensioni internazionali create dall’allentamento monetario da parte dei paesi industrializzati.
Ci sono altri modi per sostenere la domanda di beni e servizi stranieri. Un’altra strada non presa in considerazione in questi ultimi anni era quella di implementare riforme di investimento e di commercio di vasta portata, che avrebbero fornito un impulso ai partner commerciali danneggiati da movimenti valutari sfavorevoli. Vale la pena notare che l’incapacità di integrare ulteriormente i mercati mondiali ha esacerbato la guerra valutaria di oggi.
Le cause alla base della guerra di oggi non sono solo da rintracciarsi nelle scelte "provinciali" di politica monetaria, ma nella reazione contro pacchetti di stimolo fiscale e la mancata realizzazione di una politica di riforma del commercio nelle principali economie industrializzate. Puntare il dito solo al Giappone non coglie il punto. Le responsabilità vanno molto di più in profondità.
| Traduzione italiana a cura di Erika Di Dio. Fonte: Voxeu |
© RIPRODUZIONE RISERVATA