Guerra delle valute: è necessario evitare ulteriori svalutazioni competitive secondo Trichet

Nicola D’Antuono

29 Dicembre 2014 - 07:01

Il mondo è in guerra. Fortunatamente i protagonisti non utilizzano fucili, bombe o cannoni, ma strumenti di politica monetaria. Gli effetti, però, rischiano di essere comunque deleteri per la popolazione mondiale

Guerra delle valute: è necessario evitare ulteriori svalutazioni competitive secondo Trichet

L’ex governatore della BCE, Jean-Claude Trichet, che sul finire del 2011 ha lasciato l’istituto di Francoforte per lasciare spazio a Mario Draghi, ritiene che il mercato delle valute è oggi teatro di complesse strategie di politica monetaria volte alla svalutazione competitiva delle monete per rilanciare l’economia reale ancora convalescente dopo le recenti gravi crisi finanziarie. Trichet ritiene che il mercato dei cambi non era mai stato così al centro dell’attenzione, soprattutto della politica, dai tempi della fine del sistema dei cambi fissi di Bretton Woods.

L’ex numero uno dell’Eurotower, però, ritiene che bisogna assolutamente trovare un accordo per evitare una guerra valutaria planetaria che possa provocare effetti molto negativi sull’economia, destabilizzando governi e la finanza globale. Il recente rafforzamento del dollaro americano ha reso felici i policy makers di quelle aree economiche che stanno lottando con il coltello tra i denti per evitare scenari deflazionistici (Europa e Giappone), ma un po’ meno molti mercati emergenti che di certo non volevano ritrovarsi con valute iper-svalutate e deflussi di capitali esteri a livelli record.

Nel 2010 il ministro delle Finanze brasiliano Guido Mantenga accusò gli USA di manipolare i cambi in modo indiretto attraverso una politica monetaria eccessivamente espansiva, che stava gonfiando oltremodo il valore delle valute dei grandi mercati emergenti. Nel 2013 la situazione si è completamente capovolta, complice l’avvio del tapering della FED e le attese di una imminente stretta sui tassi americani. Ora i paesi emergenti sono molto preoccupati dalla fuoriuscita di capitali e dal costante deprezzamento delle proprie valute. Il Brasile è stato costretto ad alzare i tassi all’11,75%, la Russia addirittura al 17%.

Sono intervenuti a sostegno della propria valuta tantissimi altri paesi emergenti, come il Messico, l’Indonesia e l’India. Oggi l’indice delle 31 valute esotiche monitorate da Bloomberg è ai minimi da oltre 10 anni sul biglietto verde. E’ chiaro che manca equilibrio su un mercato che ormai ha raggiunto un turnover giornaliero pari a 5.300 miliardi di dollari. Qualcuno auspica un intervento diretto sul forex, ma un circuito così gigantesco difficilmente potrà subire variazioni significative in ottica di medio-lungo periodo. Qualcun altro ha avanzato l’ipotesi di un nuovo Accordo di Plaza, come nel 1985, quando fu messo un freno all’ascesa inarrestabile del dollaro.

La soluzione più semplice da percorrere appare ancora quella della liquidità, ovvero gli interventi delle banche centrali con stimoli monetari dal controvalore record. E’ successo già con la FED tra fine 2008 e fine 2014, con la Banca d’Inghilterra, con la Bank of Japan (da aprile 2013) e ora anche con la BCE (che si appresta anche a introdurre il quantitative easing). Per non parlare poi delle costanti immissioni di liquidità della People’s Bank of China e degli interventi della Swiss National Bank. Praticamente tutte vogliono una valuta più debole.

In queste guerre valutarie non tutti riescono sempre a centrare i propri obiettivi di cambio e a volte l’economia reale può subire conseguenze disastrose. Il rischio è che, senza una politica comune su moneta e inflazione, qualcuno possa uscirne con le ossa rotta e mandare intere popolazioni sul lastrico.

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