Gas all’Italia: tra conflitto Russia-Ucraina e crisi in Algeria resteremo "a secco"?

Francesca Morandi

22/07/2014

I conflitti ucraino e iracheno avranno ripercussioni "contenute e gestibili" per l’Europa, anche se "il rischio è doppio, in quanto coinvolgono sia il gas che il petrolio", mentre una crisi dell’Algeria potrebbe avere gravi conseguenze sull’Italia. Ecco come Matteo Verda, ricercatore dell’Ispi, vede il futuro prossimo dell’energia dello stivale.

Gas all’Italia: tra conflitto Russia-Ucraina e crisi in Algeria resteremo

"Le guerre in Ucraina e Iraq non mettono a rischio la sicurezza energetica in Europa, la vera incognita per l’Italia viene dall’Algeria. Una crisi in questo Paese, avrebbe gravi conseguenze su di noi."

E’ l’analisi di Matteo Verda, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) e dottore di ricerca presso l’Università di Pavia, secondo il quale i conflitti ucraino e iracheno avranno ripercussioni "contenute e gestibili" per l’Europa, anche se "il rischio è doppio, in quanto coinvolgono sia il gas che il petrolio".

Secondo lo studioso i veri guai "per l’Italia e l’Europa sorgerebbero a seguito di una destabilizzazione dell’Arabia Saudita e dell’Algeria". E l’ipotesi di una “crisi algerina” è concreta a fronte di cause riconducibili alle precarie condizioni di salute del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, 77 anni, colpito da un ictus e costretto alla sedia a rotelle, ma, ciononostante, rieletto per la quarta volta al vertice del Paese lo scorso aprile.

  • A preoccuparci deve essere quindi il Nordafrica, non l’Ucraina?

Sì. Dal Nordafrica l’Italia importa un terzo del suo gas, precisamente da Algeria e Libia. Oggi la situazione in Algeria è relativamente stabile, e lo stesso vale per la Tunisia, Paese di transito del metano che arriva in Italia dal territorio algerino. Tuttavia la prospettiva di una successione di Bouteflika, presidente anziano e malato, apre scenari di una possibile spaccatura interna al Paese, da 15 anni tenuto con il pugno di ferro dall’attuale presidente. Oggi bande armate, anche collegate al movimento di Al Qaeda per il Maghreb (Aquim), agiscono nel Sud del Paese, alla frontiera con il Mali, ma in futuro potrebbero destabilizzare il governo di Algeri.

  • Cosa accadrebbe se i flussi di gas dall’Algeria verso l’Italia diminuissero o, addirittura, si interrompessero?

La situazione potrebbe diventare analoga a quella della Libia, e, nel caso, diverrà importante che il governo centrale mantenga un controllo, anche parziale, del territorio e dei condotti energetici. Tuttavia, l’Algeria rispetto alla Libia è un fornitore molto più rilevante e le conseguenze sarebbero più gravi. In questo quadro la Russia resta un partner energetico fondamentale per l’Italia e l’Europa. Ad ogni modo, la nostra economia è meno esposta rispetto agli anni Settanta, abbiamo diversificato i nostri fornitori di energia e il sistema italiano può contare su una buona capacità di stoccaggio in caso di emergenza, a fronte di un allineamento tra la crisi ucraina e una possibile crisi algerina. Comunque non ritengo che resteremo al freddo il prossimo inverno e, nel breve periodo, non vedo grossi contraccolpi sulle nostre imprese a causa di una bolletta energetica più alta. In Italia la crisi economica continua infatti a deprimere i consumi elettrici e industriali e, quindi, i nostri bisogni energetici sono meno elevati.

  • Le importazioni di gas e petrolio dalla Libia sono calate dopo la guerra del 2011, non ci sono state conseguenze?

Non significative. Dalla Libia importiamo a pieno regime il 10% del nostro gas, percentuale che scende spesso al 5%. Si tratta di un contributo tutto sommato marginale, rispetto alle quantità di gas che importiamo da Algeria e Russia, che ammontano a un terzo ciascuna.

  • Quanto il conflitto in Iraq “pesa” in questo quadro?

L’Iraq preoccupa ma finché l’instabilità non investe la penisola araba, la produzione saudita garantisce la stabilità dei mercati petroliferi. Certamente i prezzi del petrolio sono saliti, toccando un massimo di 114 dollari al barile, ma, per ora, siamo lontani da una soglia “allarmante” di 150 dollari al barile, che sarebbe una crisi profonda. Anche in quel caso, comunque, i problemi per l’Italia non sarebbero tanto quelli dell’approvvigionamento, quanto le conseguenze sulle economie asiatiche in forte crescita, dove le nostre aziende esportano molto.

  • Nonostante in Ucraina sia in corso una guerra, la sua analisi è ottimista sui rapporti tra Kiev e Mosca...

In Ucraina la situazione è molto “controllata” dall’esterno: i ribelli separatisti sono legati a Mosca e il governo di Kiev è oggi “vicino” all’Unione Europea e agli Stati Uniti. Non vedo rischi di una rottura definitiva tra Kiev e Mosca perché gli interessi comuni sono molto forti e coinvolgono anche l’UE. Credo si arriverà a un accordo sul gas, è questione di tempo.

Come ogni azienda Gazprom sta diversificando i propri mercati. L’Europa è un cliente in stagnazione, anche se resta fondamentale, mentre la Cina è un mercato che cresce. Vedo dinamiche economiche in queste scelte che non penalizzeranno l’Europa. Basta pensare che i giacimenti russi che riforniscono l’Europa provengono dalla Siberia occidentale e sono diversi da quelli destinati alla Cina, che attingerà ai giacimenti della Siberia orientale.

  • Eni ha firmato un contratto con la compagnia cinese Cnooc per l’esplorazione di giacimenti nel Mare cinese meridionale. Perché si fanno esplorazioni in Cina e non nel Mar Adriatico mentre la Croazia sfrutta i giacimenti che rientrano nei suoi confini?

Per un player globale come Eni è normale investire in Cina, dove le riserve stimate sono ampie e le prospettive del mercato sono migliori. Certamente c’è da interrogarsi sul fatto che la legislazione e la burocrazia italiane impediscano anche alle imprese nazionali esplorazioni che potrebbero essere vantaggiose.

A cura di Francesca Morandi

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