Falsa fatturazione: non ne risponde il legale rappresentante se c’è inganno

Federico Migliorini

30 Gennaio 2015 - 14:08

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La responsabilità penale del reato di dichiarazione fraudolenta non riguarda soltanto chi sottoscrive la dichiarazione, ma anche eventualmente il soggetto che ha concorso materialmente a rendere fraudolenta la dichiarazione, ingannando il legale rappresentante in buona fede.

Falsa fatturazione: non ne risponde il legale rappresentante se c’è inganno

Può essere chiamato a rispondere del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture false il soggetto che abbia materialmente registrato in contabilità i documenti, traendo in inganno il legale rappresentante della società, che confidava nella bontà della documentazione e che ignaro ha sottoscritto la dichiarazione dei redditi rivelatasi infedele.

Questa è la motivazione della sentenza n. 3931, depositata il 28 gennaio 2015 della sezione Penale Corte di Cassazione che per la prima volta applica il concetto di “concorso di persone” in ambito tributario e più specificatamente in ambito delle responsabilità sui soggetti che sottoscrivono la dichiarazione dei redditi.

Il fatto e le sentenze di primo e secondo grado
La questione parte dall’imputazione del reato di dichiarazione fraudolenta (articolo 2 del D.Lgs n. 74/2000) ai fini Iva che veniva imputato al socio e rappresentante legale di una società di persone, in quanto egli avrebbe utilizzato fatture relative ad operazioni rivelatesi poi inesistenti. Il socio amministratore era stato condannato in primo grado.

L’imputato impugnava poi la sentenza di primo grado sostenendo di non aver sottoscritto la dichiarazione annuale, essendo subentrato nel frattempo il liquidatore che aveva assolto tali adempimenti. Sulla base di tali argomentazioni la Corte di appello accoglieva l’impugnazione sostenendo che la dichiarazione Iva era stata effettivamente sottoscritta dal liquidatore e che non vi erano elementi tali da fare ravvisare il concorso di persone nel reato.

A fronte di tale decisione la Procura generale ricorreva per Cassazione ritenendo che i giudici di Appello non avessero considerato il fatto che l’imputato aveva pacificamente annotato le fatture false in contabilità e consegnato tutta la documentazione al liquidatore, non avvertendolo dell’annotazione delle suddette fatture.

Il liquidatore era quindi stato indotto all’illecita indicazione di elementi passivi fittizi. Inoltre, l’imputato aveva un interesse diretto nell’illecito fiscale, essendo socio, in quanto un minor tributo da versare (in questo caso Iva) avrebbe portato ad un più favorevole riparto dell’attivo.

La sentenza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso effettuato dalla Procura, affermando che il reato di dichiarazione fraudolenta non può essere attribuito a soggetti diversi da coloro che hanno presentato la dichiarazione. Tuttavia, però, nel caso in esame si rende applicabile il cosiddetto “concorso di persone” (articolo 110 Codice penale), in base al quale del reato commesso dalla persona ingannata, risponde chi lo ha determinato a commetterlo.

In questo caso il liquidatore aveva sottoscritto la dichiarazione, ma era stato ingannato dal precedente rappresentante legale, il quale aveva annotato in contabilità delle fatture false. Pertanto, l’ex legale rappresentante deve rispondere in qualità di “autore mediato”, in virtù del suo specifico interesse nella presentazione di una dichiarazione fraudolenta.

Per questo motivo la Suprema Corte ha accolto il ricorso della Procura, con giudizio di rinvio alla Corte di appello che sarà chiamata ad approfondire la questione, alla luce di questi nuovi principi che in precedenza non aveva considerato.

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