Corea: per Kim Jong-un solo una prova di forza. Intervista a Yossarian di London Alcatraz

Dimitri Stagnitto

11/04/2013

Corea: per Kim Jong-un solo una prova di forza. Intervista a Yossarian di London Alcatraz

Nelle scorse settimane si è parlato molto della Corea del Nord e di un ipotetico attacco a una base americana nel Pacifico.

A tal proposito abbiamo chiesto a Yossarian, blogger attivo su London Alcatraz, blog dedicato principalmente a temi storici legati ad eventi bellici, cosa pensi della minaccia di Kim Jong-un verso gli USA e il mondo occidentale.

Non abbiamo perso l’occasione per qualche domanda aggiuntiva su un’eventuale Terza Guerra Mondiale: una stringa di ricerca che sta avendo un vero proprio exploit tra le ricerche su google. La gente fa bene a preoccuparsi? Leggiamo le risposte di Yossarian.

D: In un tuo post recente su London Alcatraz, hai sottolineato come la guerra tra le due Coree sia tecnicamente ancora aperta da oltre 50 anni. E’ plausibile che questo scenario bellico si riapra davvero in modo cruento?
R: Dipende da cosa vuole l’attuale leader Kim Jong-un. La Corea del Nord è un paese completamente isolato e il figlio del Caro Leader Kim il-Jong a parer mio sta cercando di uscire dall’isolamento in cui lo ha cacciato la dinastia Kim.

Questo non significa che la Corea del Nord intenda diventare la Svizzera, bensì che il leader nordcoreano urla, minaccia e strepita, perché vuole qualcosa, senza contare che al neoleader serve una prova di forza per dimostrare a un paese allo stremo, al partito e soprattutto all’esercito (che ha già purgato) che è saldamente in sella e che possiede gli attributi.

Personalmente ritengo possibili due ipotesi:

  • A) Kim Jong-un ricatta perché vuole qualcosa in cambio, ma sta bluffando sulla guerra. Cosa voglia, non lo so e credo che al momento non lo sappiano nemmeno le altre nazioni coinvolte nella vicenda, ma credo che presto lo sapremo. I bluff non possono durare all’infinito. Prima o poi te li vengono a vedere. Il rischio insito in questa ipotesi è che gli eventi possano sfuggirgli di mano. Basta un soldato nervoso, uno scambio di colpi al 38 parallelo che si trasforma in un conflitto a fuoco con morti e feriti e bingo, la frittata è fatta.
  • B) Kim Jong-un vuole qualcosa ed è disposto a usare la forza se non lo ottiene. In questo caso, a mio avviso, ha fatto molto male i suoi calcoli. Questa ipotesi ha un suo antecedente piuttosto simile nella Crisi dei Sudeti scatenata da Hitler nel 1938 che sfociò negli accordi di Monaco. Le minacce di Hitler non erano un bluff: voleva i Sudeti ed era pronto a scatenare una guerra contro la Cecoslovacchia se non li avesse ottenuti.

Riassumendo, possiamo paragonare la situazione coreana di oggi alla classica rapina in banca con ostaggi: ci sono rapinatori che minacciano di uccidere gli ostaggi se non ottengono ciò che vogliono, ma in realtà stanno bluffando, perché per vari motivi, non tirerebbero mai il grilletto, ma ci sono anche quelli che se non vedono soddisfatte le loro richieste, cominciano a far saltare le cervella agli ostaggi.

La polizia, esattamente come le altre nazioni ricattate dalla Corea del Nord, va molto cauta e tratta, proprio per capire di che categoria di rapinatore si tratta e agire di conseguenza. In tutto questo, può capitare che a qualcuno saltino i nervi e comincino a volare pallottole.

D: La Corea del Nord ha appena annunciato un attacco nucleare contro gli USA. Se quest’ipotesi assurda dovesse avverarsi, potrebbe essere l’inizio di un nuovo conflitto mondiale?

R: Lo escludo. Non abbiamo dei blocchi di potenze contrapposti come nella Guerra Fredda o come accadde durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale e nessuno vuole farsi trascinare in un conflitto termonucleare globale per colpa di un dittatore che fa le bizze.

Va inoltre ricordato che la Cina è un alleato piuttosto controverso della Corea del Nord, che i rapporti fra i due stati non sono idilliaci e che soprattutto, le sfuriate della Corea del Nord stanno innescando una corsa agli armamenti in una regione che la Cina considera vitale perché è alle porte di casa.

Tutto il bailamme nordcoreano ha avuto l’effetto di allarmare il Giappone, che sta gettando alle ortiche la sua tradizionale politica pacifista post-bellica. Oltre alla tradizionale inimicizia storica, la Cina ha già problemi piuttosto seri con il Sol Levante e l’ultima cosa che vuole è un Giappone che corre al riarmo e una regione armata fino ai denti. La Corea del Nord è utile alla Cina finché gioca la parte che Taiwan gioca per gli americani con Pechino. Una noiosa spina nel fianco dell’avversario: ma se Taiwan cominciasse a minacciare la Cina con armi nucleari, Washington non farebbe i salti di gioia e non credo che la appoggerebbe.

L’alleato di una grande potenza non è necessariamente un “fantoccio”. Queste sono semplificazioni complottiste. La Corea del Nord è in questo senso qualcosa di simile, con tutte le differenze del caso, a Israele per gli USA. Spesso e volentieri gli israeliani fanno di testa loro. Per non parlare dell’Arabia Saudita, che forse è l’esempio più calzante. Nell’attuale situazione, quando i cinesi invitano alla prudenza, sono sinceri.

Anche la pace può essere realpolitik, non lo fanno certo per vincere il concorso “Bimbi Buoni”.

D: Dall’ultimo conflitto mondiale le tecnologie belliche si sono evolute molto, se dovesse esserci una nuova guerra mondiale quanto sarebbe diversa dalle precedenti e sotto quali aspetti?
Posto che parliamo di uno scenario per me fantapolitico, ma comunque simmetrico e convenzionale, non credo durerebbe anni come le due che l’hanno preceduta. La tecnologia dà un indiscusso vantaggio sul campo di battaglia, ma in termini di letalità, addestramento e produzione bellica, può trasformarsi in un collo di bottiglia.

L’estrema letalità delle armi moderne provocherebbe un attrito materiale e umano colossale con perdite difficilmente rimpiazzabili in poche settimane. La Guerra del Kippur del 1973 tra arabi e israeliani, che è un ottimo case study in materia, vide i due contendenti esaurire armi e munizioni dopo poco più di una settimana, tanto che americani e sovietici dovettero rifornirli con grandi ponti aerei. Del resto basta leggersi l’ottima e documentatissima fiction di Tom Clancy “Uragano Rosso” su un’ipotetica invasione dell’Europa da parte del Patto di Varsavia, per rendersi conto del consumo prodigioso di armi, uomini, munizioni e mezzi in una guerra moderna e altamente tecnologica.

Si parla di perdite colossali. Nella realtà, Nato e Patto di Varsavia prevedevano una conflitto di un mese al massimo per decidere il destino dell’Europa e del mondo. In termini di produttività, se pensiamo che in questa ipotetica guerra mondiale gli americani possano sfornare migliaia di supercaccia di 5a generazione F-22 al mese, come facevano con i caccia a pistoni dell’epoca, siamo parecchio fuori strada.

Non avrebbero nemmeno i piloti. Negli anni 40 era possibile mandare in aria un disgraziato dopo qualche decina di ore di volo (e i risultati erano generalmente catastrofici), ma oggi non puoi mettere un pilota ai comandi di un F-22 dopo un mese d’addestramento. Se è per questo nemmeno ai comandi di un Mig-21, un vecchio caccia sovietico di terza generazione della Guerra Fredda, che fra l’altro è presente in maniera cospicua nell’aviazione nordcoreana.

D: Passiamo allo scenario Europeo: il sogno dell’Europa Unita inizia a scricchiolare e la crisi economica sta riaccendendo nazionalismi e inimicizia tra i popoli del Vecchio Continente. L’Europa potrebbe tornare ad essere uno scenario di guerra?
R: A costo di essere prosaico e passare per troppo cauto, devo rispondere che non lo so. Nel 1914 si pensava che l’Europa era e dovesse restare quella di prima delle rivoltellate di Sarajevo e della “Belle Epoque”. Quattro anni dopo, lo scenario era radicalmente diverso e non era troppo difficile prevedere nuovi guai. Prima vediamo cosa succede all’Unione Europea e poi vediamo, anche se credo che gli europei ne abbiano abbastanza di scannarsi tra loro e che oggi esistano strumenti diplomatici migliori e più efficaci di quelli di 70 o 100 anni fa per evitare conflitti europei.

I profeti semicomplottisti della politica internazionale da blog di quart’ordine che se ne saltano fuori dicendo che fra tre anni il Lussemburgo diventerà la potenza europea dominante e attaccherà la Russia, mi lasciano, per così dire, freddino.

D: Nella Storia si sono fatte guerre per moltissimi motivi "ufficiali", si può generalizzare dicendo che dietro ad ogni guerra ci sono sempre motivi sostanzialmente economici?
R: Secondo i marxisti sì, ma i marxisti, come i loro doppelganger neoliberisti, erano sicuri di tante cose che non hanno trovato riscontro nella realtà, a cominciare dal mito nefando della Storia (la versione neoliberista si chiama “mercati”).

Personalmente ritengo che i motivi economici siano un fattore determinante, ma non sono l’unico e spesso si mescolano ad altri fattori. La Prima Guerra Mondiale rientra sicuramente nella categoria “economica”, la Seconda è un miscuglio di economia e ideologia come la Guerra Fredda e infine, all’interno della Guerra Fredda ci sono state anche conflitti dettati da esigenze geostrategiche.

In Vietnam (o in Corea nel 1950) non c’era il petrolio e nemmeno una cornucopia di materie prime, ma il conflitto si scatenò lo stesso per motivi quasi esclusivamente legati a delicati equilibri strategici nelle rispettive sfere d’influenza delle due superpotenze.

Se poi parliamo di guerre asimmetriche e terrorismo, allora entriamo in un campo dove l’economia non di rado è un fattore risibile. Uno dei motivi per cui sia i sovietici, sia gli americani fallirono nell’identificare la minaccia posta dall’ascesa dell’integralismo islamico è che i primi, in ossequio alla dottrina marxista, lo ritevano una “sovrastruttura” messa in piedi dagli imperialisti americani per coprire le loro vere intenzioni, e i secondi, in maniera molto pragmatica, che si trattasse di un burattino i cui fili erano tirati da qualche stato nemico.

La realtà è che Al-Qaeda era ed è una organizzazione guidata da fanatici religiosi che sognano deliranti califfati. Marx sbagliava a sottovalutare le religioni.

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