Commenti e post discriminatori o violenti online, è reato?

Isabella Policarpio

12 Agosto 2019 - 16:12

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I commenti e i post che incitano alla violenza, all’odio razziale o al sessismo costituiscono fattispecie di reato. Ecco cosa si rischia.

  Commenti  e post discriminatori o violenti online, è reato?

Commentare online incitando alla violenza, con messaggi di natura discriminatoria, sessista o razzista, in alcuni casi è un vero e proprio reato, quindi perseguibile dall’ordinamento.

Dunque, chi ha la cattiva abitudine di esprimere commenti di odio contro donne, minoranze etniche o linguistiche, migranti, carabinieri, su Facebook, Twitter o Instagram, deve stare ben attento: oltre alle sanzioni economiche, infatti, può esserci anche la reclusione quando il messaggio è particolarmente duro e la sua diffusione è tale da incitare concretamente all’odio una molteplicità di utenti.

Già da tempo, la giurisprudenza ha sancito che insultare qualcuno su Facebook integra il reato di diffamazione, tuttavia, le ipotesi in cui si può parlare di un vero e proprio reato sono molteplici. In questo articolo faremo il quadro della situazione su quando e come i commenti discriminatori o violenti in rete hanno conseguenze penali.

Commenti e post violenti e discriminatori online: quando è rato?

Commentare in modo violento, con post a sfondo sessista o razziale su Facebook, per esempio, ed anche su tutti gli altri Social Network, non equivale semplicemente ad esprimere un parere su una questione, ma, in alcuni casi, è un reato a tutti gli effetti, con le conseguenti ripercussioni penali.

Si tratta di una misura necessaria a placare gli innumerevoli post contro le Forze dell’Ordine, i migranti, i giornalisti, le donne, e qualunque categoria ritenuta “debole”.

Precisamente, chi divulga su Internet messaggi d’odio, per qualsivoglia motivo, viola legge n. 205 del 1993, la c.d Legge Mancino che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazista o fascista, di incitazione alla violenza e alla discriminazione per ragioni razziali, etnici, religiosi, ecc. Per analogia, questa legge viene applicata anche ai commenti e ai post online.

Cosa si rischia?

Ora che abbiamo chiarito che diffondere slogan e messaggi violenti online è un reato esattamente come farlo nella vita reale, passiamo alle conseguenze penali.

Se i commenti riguardano idee di natura razziale e diffondo l’odio verso determinate categorie etniche, si rischia fino a 3 anni di reclusione. Se, invece, i commenti o i post invitano a commettere azioni violente contro le categorie “deboli” (minoranze linguistiche, etniche, persone affette da handicap) la pena è la reclusione da 6 mesi a 4 anni.

Alla base del divieto e della pena, che per alcuni potrebbe sembrare eccessiva, c’è il fatto che quando si scrive su Internet non si può mai prevedere la diffusione dei post o dei commenti, questi potrebbero essere ignorati oppure potrebbero avere una diffusione enorme, convincendo altre persone a commettere azioni violente e diffondendo l’odio razziale, condotte che l’ordinamento deve combattere su ogni fronte.

Commenti e post violenti: le ulteriori conseguenze

Oltre alle conseguenze penali, ovvero alla reclusione, dai commenti o dai post violenti, razzisti o sessisti online, potrebbero derivare anche ulteriori conseguenze.

Le c.d. pene accessorie variano in base alla gravità del fatto e dal tipo di violazione commessa: tanto per fare degli esempi, il giudice può stabilire lavori di pubblica utilità, divieto di propaganda politica, restrizioni personali come il divieto di frequentare determinati ambienti, ritiro della patente di guida e altri ancora.

Ricordiamo che, sia per le conseguenze strettamente penali che per quelle accessorie, occorre che i commenti o i post incriminati non siano semplicemente violenti, ma che vi sia il pericolo concreto della loro diffusione incontrollata; insomma, detto in altre parole, che i commenti siano idonei in concreto a diffondere le idee di odio, come se si trattasse di una “propaganda”.

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