Carbon credit: cosa sono, come funzionano e perché FCA li compra da Tesla

Andrea Tartaglia

08/04/2019

08/04/2019 - 11:00

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Nella lotta alle emissioni di CO2 sono stati imposti dei limiti che coinvolgono stati e aziende. I più virtuosi vendono i crediti ai meno efficienti, ecco come funziona.

Carbon credit: cosa sono, come funzionano e perché FCA li compra da Tesla

I “carbon credit” sarebbero al centro dell’ accordo sottoscritto tra FCA e Tesla, secondo quanto riportato dal Financial Times. Un accordo che eviterebbe al gruppo italo-americano di essere sanzionato dalle autorità europee per la violazione dei limiti sulle emissioni di CO2 in vigore dal 2020.

FCA ha attualmente a listino una gamma di veicoli con emissioni medie superiori a quanto stabilito dalla Commissione Europea per il 2020, di conseguenza compra i crediti che Tesla è disposta a cedere - e ne ha molti dal momento che ha una gamma di auto elettriche ad “emissioni zero” - riuscendo così a rientrare nei limiti europei.

È la prima volta che succede in Europa, ma negli Stati Uniti vendere o acquistare i “carbon credit” è una pratica diffusa. E - paradossalmente - FCA è uno dei costruttori che li vende, dal momento che per il mercato americano produce e commercializza anche veicoli elettrici. Vediamo di capire meglio cosa prevede la legislazione europea e perché FCA pagherà diverse centinaia di milioni a Tesla.

I limiti imposti dalla UE per ridurre le emissioni di CO2

Secondo gli studi della Commissione Europea, le automobili sono responsabili per il 12% della CO2 emessa nei paesi dell’Unione. Stiamo parlando del gas conosciuto anche come Anidride Carbonica o Biossido di Carbonio, un clima alterante che pur non essendo un inquinante è responsabile delle variazioni climatiche e del riscaldamento globale.

Per ridurre tali emissioni, i paesi che hanno aderito al Protocollo di Kyoto hanno stabilito delle quote di emissioni per ciascun paese, identificando anche un meccanismo di crediti e di debiti che possono essere scambiati tra i paesi più virtuosi e quelli meno efficienti. La somma non deve eccedere i limiti previsti dal trattato, ma all’interno di questo perimetro è nata una vera e propria borsa dei crediti di CO2.

Per quanto riguarda i produttori di autovetture, la Commissione Europea ha stabilito un percorso di riduzione progressiva delle emissioni di Anidride Carbonica. I limiti di applicano sulla media delle emissioni della gamma commercializzata da ogni singolo costruttore:

  • un primo target è stato introdotto gradualmente dalla UE tra il 2012 e il 2015, con una media di emissioni di CO2 130 g/km;
  • nel 2021 il limite scenderà a 95 g/km, ma anche in questo caso si tratterà di una introduzione graduale: il 95% delle nuove vetture di ogni costruttore dovrà rispettare la curva del valore limite nel 2020, per salire al 100% nel 2021.

Sono previste delle multe per i costruttori che non rispetteranno i target di emissioni medie di CO2. Le sanzioni sono piuttosto severe e colpiranno più duramente quelle case automobilistiche che avranno uno sbilanciamento eccessivo fuori target:

  • 5 euro per il primo g/km oltre il limite;
  • 15 euro per il secondo g/km fuori parametro;
  • 25 euro per il terzo;
  • 95 euro per ogni g/km di CO2 fuori target successivo.

Carbon credit: come funziona la borsa dei diritti di emissione

Il Protocollo di Kyoto del 1997 ha stabilito un valore globale di emissioni di CO2, definito “cap”. Tale limite viene poi ripartito tra i vari paesi, che attraverso un’autorità nazionale o sovranazionale (è il caso dell’Unione Europea) ripartisce i “diritti di emissione” tra stati e aziende. Grazie a dei “meccanismi di flessibilità”, i paesi hanno a disposizione alcuni strumenti per raggiungere gli obiettivi di riduzione fissati dal Protocollo.

I meccanismi di flessibilità sono tre, a seconda dello sviluppo economico del paese che ne vuole beneficiare: uno prevede la possibilità di creare progetti condivisi solo tra paesi industrializzati; il secondo tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo; l’ultimo dà la possibilità agli stati di commercializzare i diritti di emissione acquisiti con i meccanismi precedenti.

L’impegno che i paesi e le singole aziende assumono in questa ripartizione deve essere rispettato, in caso contrario sono previste delle pesanti sanzioni. I soggetti che non riescono a rispettare il “cap” possono compensare il proprio deficit acquistando i “carbon credit” messi a disposizione dai soggetti più virtuosi.

Ovviamente l’esborso economico non è indifferenze, a seconda dei casi si tratta di diverse centinaia di milioni di dollari. Gli stati e le aziende che sono in grado di ridurre le proprie emissioni ci guadagnano economicamente e in reputazione, dal momento che possono sfruttare un’immagine di soggetto tecnologicamente avanzato e che ha a cuore i temi ambientali.

Carbon credit: in Europa FCA compra crediti, ma in California li vende

Ecco spiegato perché FCA compra “carbon credit” da Tesla per il mercato europeo, evitando così di essere sanzionata dalla Commissione Europea. Dal momento che il gruppo italo-americano non vende - al momento - modelli ibridi o elettrici sul mercato europeo, ha una media di emissioni che superano il target imposto.

Attenzione però a pensare che il Lingotto sia sotto scacco: in California è FCA che vende crediti ai costruttori meno virtuosi. Sul mercato americano, infatti, il gruppo guidato da Mike Manley ha in gamma i veicoli elettrici commercializzati con il marchio Chrysler.

Questo ha consentito a Fiat Chrysler di vendere nel 2017 2.576,90 “carbon credit” nel mercato californiano, su un totale di 85.572,60 crediti scambiati. Per fare qualche paragone, nello stesso periodo e area geografica Toyota ne ha venduti 48.887,78; Honda 7.598,54; Ford 3.451,97 e Jaguar-Land Rover 1.052,72. Curiosamente, Tesla non ne ha venduto neppure uno.

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