Burden sharing: cos’è, come funziona e le differenze col bail-in

Claudia Cervi

06/10/2022

25/10/2022 - 19:20

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Su MPS incombe lo spettro del «burden sharing»: cos’è, come funziona e quali conseguenze sul titolo? Ecco quali sono le differenze tra questa procedura e il bail-in.

Burden sharing: cos’è, come funziona e le differenze col bail-in

Burden sharing: cos’è, come funziona e le differenze col bail-in - Il Monte dei Paschi di Siena occupa nuovamente le prime pagine dei giornali di finanza in vista del nuovo aumento di capitale necessario per scongiurare il fallimento.

Il 16 settembre l’assemblea degli azionisti ha deliberato la ricapitalizzazione della banca senese per 2,5 miliardi di euro, di cui 1,6 miliardi saranno versati dal Mef che ne possiede il 64%.

La strada è in salita, specie dopo il crollo (teorico) del 34,5% del titolo nel giorno del raggruppamento delle azioni. Il rischio dunque è che non vada a buon fine la raccolta dei 900 milioni di euro necessari per completare l’aumento di capitale che partirà il prossimo 17 ottobre.

Ed è qui che entra in gioco il concetto di burden sharing, di cui molto si è parlato ultimamente, soprattutto in relazione al bail-in. Ma cos’è il burden sharing? Come funziona? E qual è la differenza tra burden sharing e bail-in?

Burden sharing: cos’è e come funziona?

Il fallimento della soluzione di mercato può sfociare in due alternative: burden sharing (la ricapitalizzazione precauzionale) o bail-in (la risoluzione, che comporta delle conseguenze molto più traumatiche).

Il burden sharing - che letteralmente significa “condivisione degli oneri” - è una procedura contemplata dall’articolo 132 della direttiva UE/2014/59 Bank Recovery and Resolution Directive, che prevede la riduzione di valore e la conversione forzata delle obbligazioni subordinate della società, qualora quest’ultima sia in dissesto.

In base a questo meccanismo, qualsiasi richiesta di nuovi aiuti pubblici deve passare dall’approvazione della Commissione Europea. Tale procedura potrebbe dunque scattare nel caso in cui non si raccolgano i 900 milioni di euro di capitali privati da aggiungersi ai 1,6 miliardi messi a disposizione dal Mef per la buona riuscita dell’aumento di capitale da complessivi 2,5 miliardi di euro.

Le indiscrezioni di stampa riportano che Francoforte è già pronta a far scattare il piano B.

Ecco come funziona il burden sharing

In caso di dissesto di un istituto di credito, era previsto che prima dell’intervento dello Stato venisse ridotto il valore nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate (o la conversione in capitale di queste ultime).

In pratica questo meccanismo è ancora applicabile alle banche solventi, che però sono state bocciate agli stress test a cura dell’Eba: è il caso di Mps, il cui ampio fabbisogno di capitale è stato certificato dall’Autorità Bancaria Europea proprio a fine luglio.

Nel dettaglio, per evitare che la situazione degeneri, lo Stato può mettere sul piatto dei fondi pubblici, a patto però che vi sia una condivisione degli oneri. Gli azionisti e i possessori di obbligazioni subordinate partecipano al rischio, mentre i correntisti sono maggiormente tutelati, a differenza di quanto accade con il bail-in.

Burden sharing: cos’è? Le differenze col bail-in

Il bail-in è entrato in vigore il primo gennaio 2016 e, prima del coinvolgimento del Fondo di risoluzione, prevede:

la riduzione del valore nominale non solo delle azioni e delle obbligazioni subordinate, ma anche dei titoli di debito più senior, quali le obbligazioni ordinarie e i depositi di importo superiore ai 100.000 euro.

Il bail-in segue una determinata gerarchia: esso viene infatti applicato prima alle azioni, poi agli altri titoli di capitale e ai debiti subordinati, ai debiti chirografari, (incluse le obbligazioni ordinarie emesse dalla banca in crisi) e infine ai depositi sui conti correnti superiori ai 100.000 euro.

Burden sharing: cos’è? Può coesistere col bail-in?

A questo punto la domanda sorge spontanea: se il burden sharing è stato sostituito dal bail-in a partire dal primo gennaio 2016, allora perché viene ancora indicato come una strada percorribile nel caso di Mps?

La risposta arriva dalla sentenza relativa al salvataggio di 5 istituti sloveni emessa della Corte di Giustizia europea nel luglio 2016. La Corte ha di fatto legittimato la coesistenza del burden sharing e del bail-in, sottolineando che quest’ultima procedura, per quanto corretta, non è necessariamente obbligatoria. Ad ogni modo - recita il verdetto - l’aiuto di Stato va limitato al minimo necessario.

Burden sharing: gli effetti su azioni e obbligazioni

In attesa dell’avvio dell’ennesimo aumento di capitale, il titolo Mps continua a perdere valore a Piazza Affari: da inizio anno le azioni hanno lasciato sul campo oltre il 75% scendendo a 22,405 euro alla chiusura del 6 ottobre.
Ancora più sotto stress le obbligazioni subordinate che potrebbero azzerarsi nell’ipotesi in cui l’aumento di capitale non andasse a buon fine e la banca venisse salvata con denaro pubblico (realizzando il burden sharing).

Secondo Equita Sim, «le valutazioni dei titoli subordinati attualmente scontano l’ipotesi di un coinvolgimento nell’aumento di capitale con una conversione/svalutazione di circa il 40-45% dei titoli che rappresenta una cifra poco inferiore ai 900 milioni che la banca dovrebbe raccogliere dal mercato».

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