Birmania, Aung San Suu Kyi e Obama: incontro in nome della democrazia per il futuro del Paese

Valentina Pennacchio

20 Novembre 2012 - 15:44

Birmania, Aung San Suu Kyi e Obama: incontro in nome della democrazia per il futuro del Paese

Obama e Aung San Suu Kyi. Cosa hanno in comune? Oltre a un Premio Nobel per la Pace (lei nel 1991 e lui nel 2009), la voglia di parlare di democrazia, soprattutto quella della Birmania. Un Paese povero, tra i PVS asiatici, isolato tra il blocco dell’ASEAN e quello comunista e surclassato da due potenti vicini: Cina e Thailandia per cui rappresenta un crocevia strategico.

Aung San Suu Kyi: simbolo di pace e coraggio

Eroina della “Lega nazionale per la Democrazia” (NLD), arrestata più volte, per tornare definitivamente in libertà nel 2010, è leader di un movimento non violento, notoriamente ispirato a Gandhi, in una Birmania (Myanmar) dilaniata dalla dittatura militare, in cui le elezioni dell’aprile scorso hanno fatto intravedere importanti spiragli per il futuro del Paese. Nonostante gli anni di detenzione, Aung San Suu Kyi conserva quella determinazione e quelle speranze che l’hanno resa simbolo di pace e di coraggio nel mondo.

L’incontro

Reduce dalla riconferma presidenziale, Obama si dedica alle relazioni internazionali, andando in visita in un Paese difficile, che sta vivendo un delicato periodo di transizione e “il miraggio del successo” è il momento più pericoloso secondo Aung San Suu Kyi, osannata come esempio “di chi lotta per la libertà” con “la forza della dignità” da Obama.

Il Presidente degli USA ha chiarito che lo scopo della visita è quello di “sostenere il cammino della Birmania verso la democrazia”, non negando che tale possibilità potrebbe condurre il Paese ad entrare nello scenario e sui mercati internazionali. Infatti, “il processo di liberalizzazione” avviato può dimostrare come “riforme e sviluppo economico possono andare di pari passo”.

Scenari futuri

Nel cammino verso il nuovo corso, la Birmania dovrà puntare su:

- democrazia politica
- riforme economiche
- lotta alla corruzione
- tutela dei diritti e della diversità, arginando le violenze tra le varie etnie e le guerre di religione, tra la maggioranza buddista e la minoranza musulmana. Quest’ultima è rappresentata dai Rohingia, uno tra i dieci popoli dichiarati in pericolo di morte dall’organizzazione “Medici senza frontiere”.

A tal proposito significativo l’intervento di Obama: “Il mio stesso paese e la mia stessa vita mi hanno insegnato il potere della diversità. Io sto di fronte a voi come il presidente del più potente paese della terra, ma un tempo il colore della mia pelle mi avrebbe negato il diritto di votare”.

Ha infine concluso: “La fragile fiamma del progresso che abbiamo visto non deve spegnersi, ma diventare una stella che guidi il popolo e la nazione”.

Una visita di alto contenuto simbolico e morale su cui volteggia un dubbio: il desiderio di una Birmania democratica e libera quanto incide nei futuri progetti economici di Washington? E’ ipotizzabile una manovra anti-cinese?

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