Annullamento del divorzio: è possibile?

Redazione Legal

15 Dicembre 2021 - 06:39

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Il divorzio pone fine a un vincolo formale, come è il matrimonio. Ma tornare sui propri passi, anche in caso di divorzio, a certe condizioni è possibile.

Annullamento del divorzio: è possibile?

Per l’ordinamento italiano, il divorzio non è un atto unilaterale, bensì un contratto a tutti gli effetti, allo stesso modo del matrimonio.

E’ noto: laddove due volontà si incontrano per unirsi in un progetto, possono incontrarsi anche per dire basta ad un’unione non più edificante.

Se il tornare indietro da una separazione costituisce una possibilità rara ma non inusuale, l’annullamento e la revoca del divorzio rappresentano ipotesi limite, con cui si rimuovono gli effetti di un atto formale, a sua volta finalizzato a far cessare gli effetti civili del matrimonio.

Vediamo in quali termini e in quali casi tornare sui propri passi rispetto a un divorzio è consentito dalla legge, determinandone l’annullamento.

Cause di divorzio, separazione e annullamento della separazione

Precisa l’articolo 1 della Legge sul divorzio (l. 1 dicembre 1970, n. 898) che il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio quando, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, accerta che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita.

Ciascuno dei coniugi può domandare al giudice la cessazione degli effetti del matrimonio – qui tralasciando l’elenco dei reati commessi dall’altro coniuge che abilitano alla domanda, il cambio di sesso di un coniuge o il caso del matrimonio non consumato – allorché si faccia registrare:

  • una sentenza di separazione giudiziale, trascorsi 12 mesi dalla stessa;
  • una sentenza di cd. omologazione di una separazione consensuale, trascorsi 6 mesi dalla stessa ;
  • una separazione di fatto protrattasi per anni (es. abbandono del tetto coniugale).

Secondo quanto previsto dall’art. 157 del codice civile, i coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice

  • con una espressa dichiarazione;
  • con un comportamento non equivoco, incompatibile con lo stato di separazione.

In altre parole: basta una nuova convivenza per “annullare” una separazione alla quale i coniugi avevano dato corso.

Annullamento del divorzio e tipi di divorzio

Sono due le tipologie principali di divorzio: congiunto e giudiziale.

Il divorzio congiunto si identifica con un «patto» grazie al quale gli ex coniugi regolamentano tutti gli aspetti che riguardano la cessazione del loro matrimonio.

Tale forma di divorzio risulta essere molto agile, dal momento che rende più rapidi (e meno onerosi economicamente) i tempi di divorzio, che si otterrà, tendenzialmente, con una sola udienza. Il giudice, in tali casi, per lo più «ratifica» la volontà degli ex coniugi.

Il divorzio cd. giudiziale, al contrario, costituisce un vero e proprio contenzioso, che vede contrapposte le parti che non hanno trovato un accordo.

Ne consegue che, con l’allungamento dei tempi dovuti al processo, aumentano anche i costi annessi a tale tipo di divorzio (oltreché il maggior costo del contributo unificato).

Divorzio congiunto: quando e come farlo

Qui sorvolando sul divorzio giudiziale (che in questa sede porterebbe fuori strada), vale la pena ricordare i requisiti che la cd. Legge sul divorzio richiede per la presentazione di quello congiunto, ossia:

  • il completo accordo su ogni aspetto connesso alla fine della relazione;
  • in caso di intervenuta separazione consensuale, il decorso di 6 mesi dalla comparizione delle parti all’udienza davanti al Presidente del Tribunale, purché sia stato pronunciato il decreto di omologazione;
  • in caso di intervenuta separazione giudiziale, 1 anno dalla comparizione delle parti all’udienza davanti al Presidente del Tribunale, purché sia passata in giudicato la sentenza che dichiara i coniugi separati;
  • in caso di negoziazione assistita con gli avvocati o di accordi conclusi davanti al sindaco, sei mesi dalla data degli accordi stessi, purché validamente perfezionati.

Al ricorso vanno allegati:

  • la nota di iscrizione a ruolo;
  • l’atto integrale di matrimonio rilasciato dal comune dove e stato celebrato;
  • lo stato di famiglia di entrambi i coniugi;
  • il certificato di residenza di entrambe;
  • la copia autentica del verbale di separazione consensuale con decreto di omologa o la copia autentica della sentenza di separazione con attestazione del passaggio in giudicato e copia autentica del verbale dell’udienza presidenziale, che ha autorizzato i coniugi a vivere separati.

Divorzio congiunto e annullamento dell’accordo raggiunto: si può?

Posti gli elementi fondamentali del divorzio congiunto, è da verificare se tale forma di divorzio possa essere revocata da una delle parti, dopo il raggiungimento dell’accordo.

Potrebbe capitare, in effetti, che nell’intervallo tra la presentazione del ricorso congiunto e la prima udienza di divorzio in Tribunale, una delle parti cambi idea sugli accordi raggiunti, ad esempio sull’assegno di mantenimento.

Cosa accade, in altre parole, quando uno dei due ha intenzione di revocare il consenso precedentemente prestato?

I giudici della Corte di Cassazione (vd. ordinanza 24 luglio 2018 n. 19540), ritengono che, nel giudizio di divorzio, a differenza che in quello di separazione consensuale, la revoca del consenso prestato nel ricorso depositato congiuntamente, consente ugualmente l’emissione della sentenza di divorzio da parte del giudice.

Che significa? Significa che qualora i due (quasi ex) coniugi presentino al giudice un accordo di divorzio congiunto, questo si caratterizza per una duplice natura:

  • ricognitiva, nel senso che è un accordo che obbliga il giudice a verificare se ci sono i presupposti per lo scioglimento del vincolo;
  • negoziale, nel senso che riguarda le condizioni relative ai rapporti economici degli ex coniugi, l’affidamento e il mantenimento dei figli.

Secondo la Suprema Corte, la revoca del consenso di una delle parti,

  • da un lato, non influisce sul potere/dovere del giudice di accertare le condizioni per il divorzio (che devono essere verificate dal giudice a prescindere dai ripensamenti delle parti);
  • dall’altro, non può cadere su un accordo rispetto al quale si è già raggiunto un certo assetto di interessi tra le parti.

Un interesse, quest’ultimo, di fronte al quale il giudizio del tribunale deve arrestarsi, a meno che le condizioni pattuite non siano in contrasto con:

  • l’interesse dei figli minori;
  • l’interesse del coniuge economicamente debole

e dunque sostanzialmente inique, necessariamente da riformulare (o attraverso un nuovo accordo o una statuizione del giudice).

Detto altrimenti: in presenza di un divorzio congiunto le parti non possono tornare sui loro passi una volta che è stato raggiunto un accordo sugli assetti patrimoniali e familiari, se non per cd. mutuo dissenso (ossia, dissenso di entrambi).

Eccetto che in un caso, però.

Annullamento del divorzio: le dichiarazioni infedeli

L’unica ipotesi nella quale è consentito revocare il consenso prestato ad un accordo di divorzio congiunto è quella in cui uno dei due coniugi non abbia detto la verità all’atto di stipulare l’accordo stesso.

In particolare, si potrà revocare il consenso quando l’altro (ex) coniuge abbia mentito sulle sue condizioni economiche, ad esempio dichiarando un reddito differente da quello reale. E’ il classico caso di chi, al fine di vedersi corrispondere un assegno di mantenimento alto, cela all’ex coniuge parte dei suoi redditi da lavoro che, ove rivelati, lo farebbero irrimediabilmente «sgonfiare».

La legittimazione di tale azione deriva dalla stessa legge: più precisamente, dall’articolo 1441 del codice civile in base al quale l’annullamento del contratto può essere fatto valere in giudizio solo dalla parte a favore della quale l’azione è disposta.

Nel suddetto caso, trattandosi di accordo di divorzio viziato nel consenso di una delle due parti (quella che non conosceva la situazione reale della controparte), la stessa potrà agire in giudizio, entro 5 anni dalla data della scoperta del vizio (dell’errore o del dolo), per tutelare le proprie ragioni economiche e familiari.

Riepilogando:

  • Quando le parti hanno raggiunto un accordo congiunto di divorzio, il patto è definitivo;
  • se l’accordo è definitivo, la revoca del consenso di una delle parti non impedisce al giudice di pronunciare sentenza di divorzio, essendo irrilevante;
  • l’unico caso in cui si può «riscrivere» l’accordo di divorzio, domandandone l’annullamento, è quando l’altro (ex) coniuge abbia nascosto la verità su un aspetto determinante dell’accordo di divorzio, così viziando il consenso dell’altro.

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