Allarme shutdown in Europa: cos’è e che cosa rischiamo

Valentina Brazioli

22/10/2013

Anche da noi rischio shutdown: se non si raggiungerà l’intesa sul bilancio, dal 15 novembre saranno a rischio i Fondi strutturali Ue per le regioni e l’Erasmus.

Allarme shutdown in Europa: cos’è e che cosa rischiamo

Mentre negli Stati Uniti ancora si cerca di capire quanto siano costati i 16 giorni di chiusura dello Stato federale Usa (secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s la cifra totale si aggirerebbe sui 24 miliardi di dollari, pari allo 0,6% del Pil), ecco affacciarsi anche nel Vecchio Continente lo spettro dello shutdown.

Le parole del presidente Ue Schulz

Stavolta non parliamo di un’indiscrezione diffusa dalla stampa internazionale: l’allarme proviene proprio dalla viva voce del presidente del Parlamento Ue Martin Schulz, che ieri mattina ha dichiarato:

Stamattina alle 7.30 il Presidente Barroso mi ha chiamato e mi ha detto che teme che la Commissione Ue da metà novembre non sarà più in grado di pagare le fatture.

Parole che hanno turbato fortemente i lavori della sessione plenaria di Strasburgo, con il Parlamento europeo invitato a far rapidamente fronte all’insolvenza con l’approvazione, tramite procedura di urgenza, di un bilancio rettificativo.

Il crollo delle entrate doganali

Un’immediata iniezione di liquidità, dunque, necessaria innanzitutto a far fronte alla perdita di 2,7 miliardi di euro, previsti e non riscossi a causa del crollo delle entrate doganali, e che adesso devono essere compensati da tutti gli Stati membri. Ma non è l’unica voce in bilancio a dover essere sanata: servono anche 3,9 miliardi di euro per far fronte a tutti i pagamenti pendenti e per non mettere a rischio un importante programma di formazione giovanile come l’Erasmus, e altri 400 milioni per aiutare le popolazioni del centro Europa colpite dalle inondazioni.

Le differenze con lo shutdown Usa

Se il paragone con lo shutdown a stelle e strisce è inevitabile, la situazione europea è comunque ben diversa: qui non sono a rischio gli stipendi e il funzionamento delle istituzioni comunitarie, ma l’erogazione dei finanziamenti europei già approvati e di cui imprese, università ed enti locali richiedono il pagamento. Si tratta infatti in buona parte di rimborsi per coprire spese già avvenute nell’ambito di investimenti strutturali e nel settore agricolo. Rimborsi che, se messi in discussione, rischiano di mettere in ulteriore grave difficoltà le amministrazioni locali.

La condizionalità macroeconomica nell’assegnazione dei fondi Ue

Un’emergenza che si intreccia con lo scontro politico che in queste ultime settimane ha agitato Strasburgo: la votazione del Quadro finanziario pluriennale Ue (Qfp) 2014-2020. Il nodo gordiano, in questo caso, è la “condizionalità macroeconomica” che i Paesi più rigoristi, Germania in testa, vogliono introdurre nel bilancio già a partire dal 2014. In pratica, chiedono una nuova regolamentazione dei fondi strutturali europei (quelli destinati alle regioni) per stabilire che vengano erogati solo se lo Stato beneficiario è in linea con gli obiettivi di deficit e di riduzione del debito. Una richiesta forse in parte condivisibile, ma che stride pesantemente con la consapevolezza che, al di là delle possibili inadempienze dei singoli Stati, i principali beneficiari di tali finanziamenti siano proprio le popolazioni locali, già duramente colpite dalla crisi economica.

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