Versamento quota di pensione al figlio convivente, è anticipo dell’eredità?

Claudio Garau

3 Novembre 2023 - 13:38

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La frazione di pensione che un genitore dà al figlio va ricondotta all’eredità oppure no? Ecco cosa ha chiarito la Corte di Cassazione e come fare ed evitare dispute tra familiari.

Versamento quota di pensione al figlio convivente, è anticipo dell’eredità?

Poniamo il caso, di certo non infrequente, in cui il figlio o la figlia maggiorenni continuino a convivere con l’anziano genitore, ricevendo da quest’ultimo una somma di denaro che è parte della pensione incassata mensilmente. Ebbene, questo denaro - utilizzato per le esigenze domestiche quotidiane - va ad influenzare la divisione dell’eredità in quote, oppure no? Ovvero, le somme mensili assegnate al figlio/a sono da ritenersi anticipazioni della cd. quota di legittima e vanno restituite?

La domanda è interessante e merita una risposta puntuale, che è arrivata ancora una volta dall’utile giurisprudenza della Corte di Cassazione. Ecco i dettagli.

Il diritto alla legittima e la divisione in quote dell’eredità

La legge è molto chiara a riguardo, disponendo che ai legittimari (coniuge e figli o, in loro assenza, i genitori) spetti una quota dell’eredità della persona deceduta, che non gli può essere negata. Chi è legittimario, dunque, ha diritto alla propria frazione di eredità, che non gli potrà essere tolta neanche con testamento.

Ecco perché, allo stesso tempo, le norme di diritto civile prevedono una tutela ad hoc a favore dei legittimari. In caso di mancato ottenimento della quota di legittima, questi hanno diritto di impugnare il testamento entro 10 anni dall’apertura della successione. Non solo: se ciò non dovesse bastare per il reintegro della propria quota, i legittimari possono altresì chiedere la revoca delle donazioni fatte in vita dal defunto.

Per questo è importante capire se le quote di pensione anticipate al figlio o alla figlia convivente debbano ritenersi, o meno, delle donazioni e, quindi, degli anticipi di eredità.

Donazione e anticipo dell’eredità: chiarimenti

Le donazioni eseguite in vita dal donante costituiscono gesti di generosità e liberalità, che arricchiscono il beneficiario e non prevedono nulla in cambio. Conseguentemente il patrimonio del donante risulta impoverito.

Ecco perché detti gesti sono potenzialmente in grado di incidere in modo significativo sul patrimonio del defunto, con la conseguenza di ’alleggerire’ la quota di eredità valevole a favore dei legittimari. Essi tuttavia - accennavamo sopra - possono tutelarsi giudizialmente, entro 10 anni dalla morte del de cuius, con l’azione di riduzione per lesione di legittima. Con questo strumento - lo ribadiamo - è possibile far revocare le donazioni fatte in vita dal de cuius, facendone venir meno gli effetti.

Ebbene, quali conseguenze vi sono nel caso in cui la quota di pensione attribuita al figlio o figlia convivente venga considerata donazione? Ovvero che succede se la donazione è fatta in favore di un legittimario?

La legge è altrettanto chiara su questo punto, dato che:

  • la donazione fatta a legittimari del donante è ritenuta dalla legge un anticipo di eredità o della quota di legittima;
  • conseguentemente, alla data del decesso del donante, la donazione dovrà essere restituita ed imputata alla quota riservata, per garantire la giusta distribuzione dell’eredità ai legittimari.

Ecco perché si usa dire che, all’apertura della successione, il donatario sarà tenuto a far confluire nella massa ereditaria quanto ricevuto per donazione, di fatto aumentando l’entità dell’eredità. Sarà il notaio, al decesso del familiare, a verificare se quest’ultimo abbia rispettato le quote dei legittimari, considerando anche le eventuali donazioni a loro favore.

Il caso concreto e l’orientamento della Cassazione

La vicenda da cui è scaturita l’utile pronuncia della Cassazione - l’ordinanza 18814 del 4 luglio 2023 - si riferiva ad alcuni fratelli che fecero causa alla sorella, accusandola di aver ottenuto in vita dalla madre - con la quale conviveva - più donazioni. Detti gesti avrebbero, di fatto, violato la loro quota legittima di eredità, diminuendo il patrimonio che sarebbe poi stato suddiviso tra gli eredi.

In corso di causa la donna si difese, sostenendo che le somme ricevute erano in verità legate al fatto stesso della convivenza e non erano formalmente donazioni. Ebbene, giunti fino in Cassazione, questo giudice decise per accogliere la tesi della sorella chiamata in causa, stabilendo che le somme incassate non erano appunto elargizioni fatte per spirito di liberalità, ma aiuti economici collegati alla convivenza stessa ed utili a sostenere le spese quotidiane.

In altre parole:

  • nel caso in cui un figlio/a conviva con un genitore anziano, a cui presta aiuto nella gestione nella vita domestica e quotidiana,
  • se il genitore decide di dare al figlio una somma di denaro per supportarlo economicamente, detto denaro - che verosimilmente proviene dalla pensione - non sarà ritenuto donazione ma - appunto - un conferimento legato al fatto della convivenza e della reciproca collaborazione familiare.

Peraltro la Cassazione non fa altro che applicare quella regola della Costituzione, secondo cui sussiste un obbligo di contribuzione ai bisogni familiari. Ecco perché le quote di pensione attribuite al figlio o alla figlia convivente, non dovranno essere ricondotte nell’eredità e non potranno essere considerate nella suddivisione della quota legittima. Quest’ultima, a sua volta, non potrà ritenersi ’lesionata’ dal conferimento in vita delle quote di pensione al figlio/a.

Come evitare contestazioni degli altri eredi legittimari

Una donazione ha generalmente caratteristiche diverse dall’elargizione della quota di pensione. Infatti l’entità della somma, che generalmente va ben oltre le esigenze quotidiane, come pure la presenza di un bonifico con causale ’donazione’ rappresentano indizi che fanno intuire un gesto di liberalità, invece che il mero versamento per le esigenze quotidiane di convivenza.

Attenzione tuttavia ad eventuali rischi ’nascosti’. Infatti anche in considerazione di quanto chiarito dalla Cassazione, è preferibile che sia il genitore che il figlio in qualche modo formalizzino il versamento delle somme, tenendone traccia nel corso del tempo e sottolineandone la funzione di contribuire alle spese quotidiane.

Saranno documenti utili in futuro, nel caso in cui uno o più eredi legittimari contestino l’ammontare dell’eredità - rivendicando l’esistenza di donazioni fatte in vita dal de cuius. Ciò potrà permettere di evitare eventuali cause legali, simili a quella su cui la Cassazione si è pronunciata con il citato provvedimento.

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