Synhelion, la startup svizzera che trasforma il sole in carburante: «Così rivoluzioneremo il trasporto aereo»

Sara Bracchetti

16 Maggio 2022 - 12:15

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Riciclare l’anidride carbonica e combinarla con le radiazioni solari per generare combustibile sintetico: una produzione pulita che diventerà realtà nel 2023.

Synhelion, la startup svizzera che trasforma il sole in carburante: «Così rivoluzioneremo il trasporto aereo»

Se il futuro è delle energie rinnovabili, un posto di primissimo piano non può che spettare a Synhelion: startup che, originaria del Canton Ticino, aspira a rivoluzionare il mondo, prossima ormai a trasformare in realtà quello che fino a pochi anni fa sembrava solo un sogno. Anzi, addirittura un’«idea folle», a detta degli stessi che, animati da un anelito di «creatività e spirito di innovazione», nel 2016 cominciarono a lavorare a un progetto che poteva stare, più che in un trattato di scienza, semmai in un romanzo di fantascienza. Perché, quando dici solare, immagini i tetti delle case: i riflessi abbaglianti dei pannelli divisi in rettangoli più piccoli; l’acqua della doccia che si scalda in maniera naturale; la sera che cala improvvisa e la cucina che si illumina con l’energia accumulata in un giorno di bel tempo. Non pensi certo al carburante che fa girare il motore di un aereo.

Invece eccola, l’idea che si compie: dalla carta ai campi vasti di Germania e Spagna, dove oggi vengono condotte le sperimentazioni più sofisticate. Sita a Lugano, Synhelion deriva dall’incontro di Philipp Furler e Gianluca Ambrosetti (nella foto), ceo di una società avviata nel 2016 a partire dagli studi del professor Aldo Steinfeld con la missione di sostituire i combustibili fossili con combustibili solari: sintetici, rinnovabili e a emissioni zero. Anzi, meglio: capaci di catturare l’anidride carbonica nell’aria e trasformarla in qualcosa di buono. Il primo campione di combustibile, prodotto al Politecnico di Zurigo tre anni fa, è già solo un bel ricordo; pronto a essere sostituito, nelle aspettative del 2023, da ben 875 milioni di litri e un primo viaggio di Swiss Airlines alimentato a cherosene solare.

Ambrosetti, eravamo abituati ai pannelli solari. E invece?
«Quando parliamo di solare, normalmente ci riferiamo a tre tecnologie mainstream. I “pannelli solari”, come si definiscono nell’accezione comune, sono in realtà pannelli fotovoltaici che convertono la radiazione solare direttamente in energia elettrica. Poi ci sono i pannelli solari termici, molto simili da vedere, utili alla produzione di acqua calda sanitaria o per il riscaldamento. Una terza tecnologia, che storicamente è stata la prima a venire implementata su larga scala ma ciò nonostante è un po’ meno nota, è il solare a concentrazione».

Di che cosa si tratta?
«Attraverso una serie di specchi, la radiazione riflessa si concentra su una linea, in un punto oppure sulla sommità di una torre, nel caso dei cosiddetti impianti a torre solare. Questi ultimi generano temperature più elevate, che in un processo standard vanno da 350 a quasi 600 gradi, tradizionalmente utilizzate per fare elettricità con un ciclo termico a vapore. Il primo impianto fu creato a Genova, ma ce ne sono di più in Spagna, America, Sudafrica».

Poi arriva Synhelion. Qual è la novità?
«Synhelion sviluppa la tecnologia del solare a concentrazione. La radiazione è concentrata nel rapporto di 1 a mille, che porta a raggiungere temperature molto elevate, fino a 1.500 gradi, allo scopo di produrre combustibili rinnovabili. Per farsi un’idea di quanto elevate siano queste temperature, basti pensare che intorno a 1.500 gradi l’acciaio fonde. Noi però non fondiamo metalli; piuttosto, utilizziamo il calore per alimentare processi per la produzione di carburanti liquidi sintetici».

Non siete i soli. Qual è il tratto distintivo di Synhelion?
«Noi lo facciamo con un processo termico. Ci sono anche altri modi. Resta il fatto che si tratta di una missione meno nota. Anzitutto, è poco noto che combustibili praticamente identici a quelli esistenti possono essere creati in maniera sintetica e rinnovabile, combinando CO2 e vapore acqueo. Quando si bruciano combustibili, viene emessa anidride carbonica, ma in questo caso viene catturata e riconvertita di nuovo in carburante, attraverso quella che si può vedere come un’inversione della combustione».

Nessun inquinamento?
«Esatto. È un ciclo chiuso. Il bilancio è nullo».

Ma poi? Nessun adattamento degli impianti per utilizzarlo?
«I combustibili sintetici sono privi di alcune componenti, fondamentalmente gli aromatici, che possono essere aggiunti come additivo. Altrimenti, qualche piccolo cambiamento da fare c’è. Le guarnizioni tendono a seccare. Il vantaggio però è che senza aromatici c’è meno particolato fino nella combustione, che dunque è più pulita».

Più pulita vuol dire che non lo è del tutto. Esatto?
«L’assoluto è un concetto quasi filosofico. Quando brucio carburanti a base di idrocarburi, produco CO2: la combustione sarà “sempre imperfetta”. Ma le emissioni di CO2, responsabili del cambiamento climatico, in un circolo chiuso vanno a zero».

Entriamo nel dettaglio. In che modo si produce carburante sintetico?
«La via tradizionale è seguire la natura e utilizzare la fotosintesi. Otteniamo così i famosi biocarburanti. Ma coltivare piante a questo scopo, in competizione con quello alimentare, ha dato alla cosa un cattivo biglietto da visita. Ci sono altri percorsi da seguire, per esempio partendo da oli esausti o da liquami agricoli altrimenti inutilizzabili, che vengono anzi rivalorizzati».

La via meno tradizionale?
«C’è un secondo modo per arrivare ai combustibili sintetici: utilizzare il fotovoltaico o l’eolico per produrre energia elettrica rinnovabile, con la quale alimentare un elettrolizzatore che produce idrogeno. Dall’idrogeno, combinato al CO2 con la “reverse water gas shift”, si arriva al gas di sintesi, cioè una miscela tra idrogeno e monossido di carbonio che si può trasformare in combustibile liquido. In due modi: con la sintesi del metanolo o con il processo Fischer-Tropsch, un processo di polimerizzazione per la produzione di catene di idrocarburi e un equivalente sintetico del petrolio. Si ottiene il cosiddetto syncrude, un greggio sintetico che si può poi raffinare».

E Synhelion?
«Il gas di sintesi è un passepartout, che riguarda anche Synhelion. Ciò che è diversa è la prima parte del processo. Al posto dell’energia elettrica per alimentare un elettrolizzatore, Synhelion utilizza processi termochimici. Si generano alte temperature, sopra i mille gradi e fino ai 1500, attraverso gli impianti solari a torre, con cui alimentare reazioni termochimiche e da qui arrivare poi al gas di sintesi».

Di chi è l’idea?
«L’idea viene dalla ricerca e dai laboratori di Aldo Steinfeld, professore del Politecnico di Zurigo, in un rapporto di collaborazione con diverse unità del mondo: York, Florida, Germania, solo per citarne alcune. C’è dietro una cultura di forte innovazione scientifica, nell’animo siamo ricercatori, anche se poi entriamo nel gioco nel business. C’è una forte componente di creatività e voglia di innovare.
La sede legale è a Lugano, ma di fatto operiamo altrove
».

Dove?
«In questo momento stiamo integrando componenti principali in un impianto di test, in Germania, attraverso una nostra sussidiaria, Synhelion Germany, bastione dell’istituto aerospaziale tedesco. Quest’estate cercheremo di dimostrare che l’integrazione funziona. Prossimo passo sarà fare l’intera catena, dal terreno con un impianto a specchi per convogliare le radiazioni fino alla produzione del combustibile liquido. Siamo supportati dal governo tedesco con un finanziamento abbastanza importante. Il nuovo impianto dovrebbe essere costruito entro l’anno prossimo».

Perché la Germania?
«In Svizzera rimane il management e la ricerca, ma le attività sperimentali sono in Germania e in Spagna. In Germania le condizioni di lavoro sono eccezionali, grazie a una pletora di piccole industrie specializzate, ma l’irraggiamento solare non è così fantastico. Possiamo fare impianti di test, ma non potremmo operare commercialmente in Germania, così come in Svizzera. La Spagna è più favorevole. Da qualche anno siamo ospitati all’istituto Medea, un centro di ricerca a Móstoles, nell’area metropolitana nord di Madrid, dove su una piccola torre facciamo esperimenti su una linea diversa. Il fuel è la storia di Synhelion, ma ci sono altri processi endotermici per cui sfruttare il solare. Così, tre anni fa siamo stati approcciati da Cemex per lavorare su un cemento solare».

Continui.
«L’idea di base è quella di produrre cemento senza bruciare carbone, ricavando l’energia che serve dal sole. In Spagna abbiamo lavorato al fuel solo nel 2020, poi ci sono stati due anni dedicati al cemento. Al fuel dovremmo tornare l’anno prossimo. In Europa, è il Paese migliore, grazie alle risorse solari e alla disponibilità di spazi ampi. Inoltre, ha una tradizione di impianti a concentrazione».

Come si conciliano carburante e cemento?
«Non sono due mondi completamente separati come sembra. Un punto di connessione c’è. Per fare cemento si produce tanta anidride carbonica, ma solo un terzo di essa viene dalla combustione. La maggioranza deriva dalla calcinazione del carbonato di calcio. Dunque o smettiamo di utilizzare cemento oppure accettiamo quelle emissioni residue, difficili da eliminare. A meno di trasformarle in combustibile. Quella CO2 può diventare un ingrediente del futuro carburante sintetico».

Quando sarete in grado di produrlo?
«Una volta, la prima al mondo, l’abbiamo già prodotto. Sul tetto dell’università di Zurigo, nel 2019, con una macchina della Climeworks che ha catturato CO2 e vapore per fare gas di sintesi. Con un reattore, abbiamo fatto metanolo. Era una semplice dimostrazione, il progetto è stato solo di recente pubblicato su Nature».

Prossimo step?
«Quest’estate arriveremo al gas di sintesi. Da lì in poi, il processo per arrivare al combustibile è standard. Le prime migliaia di chili saranno prodotte in Germania e serviranno ad alimentare un primo volo di Swiss, probabilmente nel 2023. La vera capacità produttiva sarà in Spagna».

Con Swiss che accordi esistono?
«Fare il primo volo con il combustibile Synhelion. Ci sarà anche una collaborazione con il gruppo Lufthansa per comprendere le necessità del mondo airline».

Solo aerei? È questo l’unico mercato?
«L’aviazione è il nostro mercato principale perché le proprietà dei combustibili liquidi li rendono difficilmente sostituibili sugli aerei. L’elettrificazione, se non per brevi tratte, è molto challenging, per non dire impossibile. Inoltre, i combustibili liquidi hanno una densità energetica e una efficienza molto elevata: a parità di capacità energetica, l’idrogeno richiede volumi molto più grandi di quelli disponibili sugli aerei attuali. Per questi motivi i combustibili liquidi, per gli aerei, sono insostituibili, per almeno qualche decennio ancora».

Una ragione di opportunità?
«Non solo. C’è anche un motivo politico. In altri settori, la decarbonizzazione non guarda al combustibile sintetico come soluzione. Sulle strade, c’è una volontà quasi cieca di elettrificare. La volontà procede in un’altra direzione».

Trasporto su gomma?
«Si guarda ai camion a idrogeno. In teoria Synhelion potrebbe produrre carburante per qualsiasi mezzo di trasporto. Un settore interessante potrebbe essere quello navale, ma per il momento non è ancora seguito attivamente».

Chi crede in Synhelion? Altre startup che puntano sulle rinnovabili faticano a trovare investitori: i tempi sono troppo lunghi.
«Abbiamo investitori privati e investitori strategici. Non abbiamo investitori finanziari puri, perché è un percorso a lungo termine».

Tappe?
«Esiste una roadmap con date indicative sulla capacità produttiva da raggiungere via via. Il percorso è progressivo».

Synhelion fin dove può arrivare?
«La teoria è per tutti. È vero che le superfici necessarie sono grandi, ma su scala planetaria diventano piccole. Un elemento molto importante a favore dei combustibili liquidi è che, a differenza di gas naturale, idrogeno o elettricità, possono essere trasportati con un impatto ambientale ed economico minimo. Perché non produrre per esempio in Cile, dove c’è un irraggiamento solare tre volte superiore a quello di Zurigo? La distanza tra luogo di produzione e luogo di utilizzo non è determinante: è uno dei grandi vantaggi di questa tecnologia».

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