Un impero da 12 miliardi e una trappola fiscale tra Italia e Francia. Ecco perché l’eredità di Armani rischia di andare al Fisco francese.
Gli eredi di Armani rischiano di pagare più di 1 miliardo di tasse di successione in Francia. Lo stilista, simbolo dell’eleganza “Made in Italy”, ha costruito in decenni un impero da oltre 12 miliardi di euro, ma parte della sua eredità rischia di finire nelle casse del Fisco francese.
Questo a causa di un pacchetto di azioni del 2% di EssilorLuxottica valutato circa 2,4 miliardi di euro. E ora quel dettaglio (la sede legale francese) pende come una spada di Damocle sugli eredi.
Se l’eredità venisse tassata in Francia, gli eredi potrebbero trovarsi a pagare oltre 1 miliardo di euro di imposte, ben più dei circa 100 milioni dovuti in Italia.
Perché se Armani era residente in Italia, le sue quote in una società “domiciliata” in Francia rientrano nella categoria dei beni esteri. E secondo la convenzione tra Roma e Parigi, il diritto di tassazione spetta proprio alla Francia. Questo significa che gli eredi potrebbero pagare un conto salatissimo in imposte di successione.
Francia o Italia? Il paradosso delle doppie imposte
Il sistema italiano, almeno sulla carta, sembra tutelare chi eredita beni all’estero: la nostra legge consente infatti di detrarre dall’imposta di successione italiana quanto già versato allo Stato straniero, evitando così la doppia imposizione. Ma il punto è che in Paesi come la Francia, dove le imposte di successione sono tra le più alte al mondo, la detrazione serve a poco: il grosso del prelievo resta comunque nelle casse parigine, dove è quotata EssilorLuxottica.
L’Italia applica un’aliquota del 4% tra genitori e figli, con una franchigia da 1 milione di euro per ciascun erede. In Francia, invece, si parte da un’aliquota minima del 5% e si arriva al 45% oltre 1,8 milioni di euro di eredità per ciascun beneficiario. Nel caso Armani, se i 2,4 miliardi di euro di azioni EssilorLuxottica venissero tassati in Francia, l’esborso supererebbe il miliardo di euro, a fronte dei soli 96 milioni che si pagherebbero in Italia.
La convenzione Italia-Francia del 1994, nata proprio per evitare doppie imposizioni, di fatto conferma che i beni “situati” in Francia (come immobili o partecipazioni in società con sede legale a Parigi) sono tassati in Francia. E qui si nasconde la trappola: non conta dove vive il proprietario, ma dove “vive” il bene. Una regola che per i grandi patrimoni internazionali può trasformarsi in una tassa d’esportazione della ricchezza.
Cosa insegna il caso Armani a investitori e risparmiatori
La vicenda Armani è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno sempre più comune. Famiglie e imprenditori italiani con patrimoni sparsi in Europa che, al momento della successione, si ritrovano intrappolati in labirinti fiscali oltreconfine. Case in Costa Azzurra, conti in Svizzera, azioni di società francesi o tedesche: ogni bene all’estero segue regole proprie, spesso molto più severe di quelle italiane.
Oggi chi costruisce o gestisce il proprio patrimonio lo sa bene: la pianificazione successoria è fondamentale, e non è più un tema solo per ricchi. Creare una società veicolo italiana che detenga gli asset esteri può ridurre il rischio di doppia tassazione, riportando l’imponibile sotto la giurisdizione italiana. Un’operazione legale, ma da pianificare con largo anticipo e con l’aiuto di esperti.
Il caso Armani lascia però una domanda aperta. Ha senso che l’Europa, che parla di mercato unico e armonizzazione fiscale, permetta ancora simili differenze tra Stati membri? Perché un’eredità che nasce in Italia dovrebbe arricchire il Fisco francese solo per una questione di sede legale? Una questione di equità che va ben oltre la moda o la finanza.
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