Stipendi, il taglio del cuneo fiscale è davvero migliore del salario minimo?

Giorgia Bonamoneta

26 Maggio 2023 - 23:00

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Il taglio del cuneo fiscale è davvero migliore del salario minimo? Il piano del governo Meloni per gli stipendi dei lavoratori e delle lavoratrici è chiaro.

Stipendi, il taglio del cuneo fiscale è davvero migliore del salario minimo?

Tra taglio del cuneo fiscale e salario minimo il governo Meloni conferma di puntare sul primo. Intervenuta al Festival dell’economia a Trento, Giorgia Meloni ha posto la questione del salario minimo come un’iniziativa giusta , ma solo sul piano filosofico. Secondo la presidente del cCnsiglio infatti il salario minimo rischio di essere un boomerang; al contrario “è più utile il taglio del cuneo fiscale, che per noi è una priorità. Lo renderemo strutturale e lo allargheremo”, ha detto.

Ancora una volta, per motivare l’assenza di un dibattito politico sul salario minimo è stato utilizzato il sistema della “contrattazione collettiva”. Il rischio, secondo Meloni, è che introducendo un salario minimo per legge c’è rischio che il parametro diventi aggiuntivo e quindi di maggior tutela o sostitutivo e quindi di minore tutela. Un dubbio inutile, dice perché il suo governo sta cercando di fare “una cosa più concreta”. Concreta sì, ma al momento solo fino a dicembre 2023. Se la proposta non venisse riconfermata non lascerebbe nulla se non qualche decina di euro in più al mese per pochi mesi.

La prima grande differenza con il salario minimo sta proprio nella scelta simbolica di interpretare il volere dei lavoratori. Infatti il salario minimo è percepito come metro di misura per la dignità del lavoro. Il salario minimo rimetterebbe in una posizione di vantaggio i lavoratori, per non parlare del peso dello stipendio di questi.

Il salario minimo e il taglio del cuneo fiscale non sono nemici e potrebbero essere degli alleati per i lavoratori e per gli imprenditori. Eppure per Meloni il salario minimo risulta essere incompatibile con il taglio del cuneo fiscale, prima di tutto perché c’è il rischio che un aumento degli stipendi possa portare a un aumento dell’inflazione.

Salario minimo, un rischio più che un beneficio: cosa ha detto Meloni

Per il governo Meloni il taglio della tassazione è una priorità e per questo è già intervenuto in due occasioni, con la legge di Bilancio e con il provvedimento del 1° maggio, producendo un taglio del cuneo contributivo pari a 6 punti per i redditi fino a 35.000 euro e di 7 punti per i redditi sotto i 25.000 euro. Secondo Meloni l’impatto di questo per i lavoratori in un periodo di inflazione è vitale, ma comprende che c’è ancora molto da fare. “Il primo passo è rendere questi provvedimenti strutturali e allargarli”.

Il salario minimo è invece visto come un capriccio, ma per molti significherebbe una rivoluzione del mercato del lavoro. Con un salario minimo di 9 euro l’ora cambierebbe l’ordine di misura degli stipendi, perché anche un lavoratore di base riuscirebbe a guadagnare una cifra non inferiore a 1400 euro al mese. Sta proprio in questa constatazione l’effetto boomerang citato da Meloni durante il suo intervento: un aumento dello stipendio, così come non avviene da almeno trent’anni in Italia secondo i dati Ocse, comporterebbe un aumento del costo del lavoro per gli imprenditori, che di conseguenza dovrebbero aumentare il costo del prodotto, qualsiasi esso sia. Di fatti il salario minimo, e quindi l’aumento dello stipendio, non avrebbe effetti positivi, ma si sentirebbe sul rialzo del costo della vita.

Secondo l’economista dell’Ocse Andrea Garnero però “se l’obiettivo è aumentare i salari netti, non è detto che ridurre la tassazione sia il modo più efficace per farlo”. Aggiunge che gli interventi effettuati in questo senso hanno creato nuovi posti di lavoro, ma non hanno sortito grossi effetti sui salari netti. Infatti il taglio del cuneo ha comportato una sforbiciata degli enti locali che, a loro volta, hanno deciso di aumentare le imposte da loro controllate, come l’addizionale Irpef, annullando l’effetto della decisione presa a livello nazionale.

E se il taglio del cuneo fiscale non servisse a nulla?

C’è un aspetto che rimane nascosto dalle dichiarazioni del governo Meloni. Complice il basso numero di momenti per discutere e porre domande, è mancata la risposta a un dubbio che invece chi lavora nei settori su cui si basa l’economia italiana, come settore turistico e commerciale, si è posto. Cosa succede se il datore di lavoro che pagava precedentemente 3.000 euro lordi per darne 1.500 netti al dipendente, ora grazie al taglio del cuneo fiscale paga al dipendente comunque 1.500 euro netti, ma lui paga 2.800 lordi? Questo è il tipico esempio di vuoto di contrattazione che avviene in Italia.

In realtà i profitti per alcuni settori stanno continuando a crescere, così come il costo del lavoro a scendere. Di fatto l’inflazione ha favorito le imprese e i profitti di queste, mentre il carovita sta distruggendo la fiducia dei lavoratori e i loro risparmi. Le aziende hanno infatti aumentato velocemente il prezzo dei prodotti per adeguarsi al costo dell’energia e delle materie prime, ma ora che i prezzi si sono assestati e stanno tornando ad abbassarsi, i prezzi dei prodotti non stanno calando altrettanto velocemente.

In questo quadro servirebbe muoversi su entrambi i fronti: da un lato sul taglio del cuneo fiscale e dall’altro sul salario minmo.

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