Pioggia contaminata in Italia, l’Onu lancia l’allarme. Ecco cosa ha detto un recente studio

Chiara Esposito

30 Ottobre 2022 - 21:48

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Piovono sostanze inquinanti: la denuncia dell’Onu mette in evidenza i rischi ai quali siamo esposti e le aree maggiormente colpite dalla contaminazione.

Pioggia contaminata in Italia, l’Onu lancia l’allarme. Ecco cosa ha detto un recente studio

È notizia recente che è già troppo tardi per contenere a 1,5 gradi il surriscaldamento globale. Lo dicono i dati dell’Emission Gap Report 2022 sulla crisi ambientale. Ma c’è di più.

L’agenzia Onu torna a porre l’accento sulla gravità della condizioni ambientali terresti e, in particolar modo, punta il dito sull’Italia per farci riflettere sulle nuove pericolose evidenze di contaminazione da Pfas delle falde acquifere e delle piogge nostrane.

Studi di settore hanno infatti evidenziato la presenza di agenti inquinanti nelle acque italiane. In particolare Marcos Orellana, Special Rapporteur dell’Onu sui “diritti umani e sostanze tossiche”, ha presentato una relazione in cui dice di essere seriamente preoccupato per l’entità dell’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche in alcune aree del Veneto e del Piemonte.

L’indicazione così particolareggiata del funzionario deriva da numeri concreti e allarmanti: sono più di 300 mila le persone colpite dalla contaminazione della seconda falda acquifera più grande d’Europa.

Questi valori mettono sotto accusa le istituzioni regionali, responsabili di non aver informato in modo adeguato la popolazione, ma anche le autorità nazionali ad oggi incapaci di varare leggi che vietino l’uso e la produzione di queste sostanze nel nostro Paese.

Cosa sono gli Pfas? Gli studi sul caso

Quando parliamo di Pfas ci riferiamo a quelli che comunemente chiamiamo “forever chemicals” ovvero sostanze chimiche definite «eterne» perché, diversamente da altre, non si degradano nell’ambiente.

La loro ampia diffusione nel passato mostra ora i suoi devastanti affetti. Quelli che oggi capiamo essere fonti di pericolo per la salute e per l’ambiente però negli anni ’50 era visti come prodotti salvifici per il sistema industriale visto che gli Pfas rendono i materiali impermeabili ad acqua e grassi.

A lanciare per primi l’allarme sulla diffusione globale di queste sostanze nocive sono stati i ricercatori dell’Università di Stoccolma e del Politecnico Federale di Zurigo che hanno pubblicati i risultati della loro ricerca sulla rivista Environmental Science&Technology. In quelle pagine si legge come il livello di Pfas presenti nel mondo sia tale da aver superato il cosiddetto “limite planetario” nonché i limiti di guardia per l’acqua potabile fissati dalle linee guida americane e dalle leggi dell’Unione europea.

Le sentenze dei ricercatori giungono dal monitoraggio di quattro acidi perflluoroalchilici nell’acqua piovana, nel suolo e nelle acque superficiali in diverse località del mondo. In altre parole in alcuni Paesi la pioggia dovrebbe essere considerata pericolosa da bere.

A quali rischi siamo esposti

Le conseguenze nocive di questo fenomeno non derivano solo dall’uso “diretto” dell’acqua piovana perché la pioggia, cadendo, finisce per contaminare anche il suolo e, di conseguenza, le falde sotterranee. Il ciclo dell’acqua vede proseguire il percorso dei flussi per poi tornare in atmosfera.

Gli Pfas inoltre sono in grado di “bioaccumularsi” sia negli animali e negli esseri umani contaminando quindi l’intero organismo. Il dato più critico è quello che guarda alle possibili «soluzioni al problema» poiché, attualmente, si riesce a venire a capo di una simile faccenda. L’unica certezza è l’alto tasso di pericolosità degli Pfas. In particolare sappiamo come questi possano causare tumori, ipercolesterolomia, problemi di infertilità, disturbi del sistema immunitario, oltre che di apprendimento nei bambini.

La sola proposta di «tamponamento» è quella di fissare un nuovo “limite planetario ad hoc”.

Il rischio è più alto in Italia

I fari sono puntati sull’Italia ma questo non dovrebbe stupirci; l’Onu da tempo ammonisce il nostro Paese per il mancato rispetto del diritto umano, internazionalmente riconosciuto, a vivere in un ambiente pulito e non contaminato. Il caso di maggior risonanza è quello di Spinetta Marengo, in Piemonte. Questa località è infatti sede della Solvay, terza azienda mondiale di produzione degli acidi perfluoroalchilici.

L’area è costantemente monitorata dalle autorità competenti per la gravità della situazione ambientale e sanitaria nei pressi dello stabilimento piemontese. Nella zona, attesta l’Onu, potrebbe infatti avere origine un disastro ambientale con conseguenze devastanti sull’intero bacino idrico del Po.

A testimoniare la gravità della vicenda è una ricerca realizzata su 51 volontari dal Policlinico di Liegi che ha dettagliato una presenza elevata di Pfoa (acido perfluoroottanoico) nel sangue degli spinettesi. I valori più alti sono stati registrati tra gli ex operai della Solvay.

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