Perché si parla di violenza sulle donne e non sugli uomini

Luna Luciano

25 Novembre 2023 - 11:10

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Ogni volta che si discute della violenza sistemica sulle donne, alcuni uomini protestano: perché non si parla mai di violenza sugli uomini? Spieghiamo perché queste argomentazioni non hanno senso.

Perché si parla di violenza sulle donne e non sugli uomini

Ogni volta che davanti all’ennesimo femminicidio ci troviamo a spiegare le cause che si annidano dietro la violenza sulle donne, un coro di voci (quasi sempre solo maschile) protesta: “perché non si parla anche di violenza sugli uomini?” E ancora: Non tutti gli uomini”,

È la prova questa di come una platea maschile non sia disposta ad assumersi le proprie responsabilità. E lo stiamo vedendo in questi giorni, dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, dopo che la sorella Elena pur affrontando il lutto ha trovato la forza di fare un’analisi lucida sulle reali cause dietro la morte di Giulia: il sistema etero-patriarcale che alimenta - ed è alimentato a sua volta -dalla disparità e violenza di genere. Quel sistema che produce quei “bravi ragazzi” che preparano biscotti alle ex-fidanzate ma che sono anche in grado di premeditare un femminicidio.

Un’analisi che non è piaciuta a molti uomini istruiti, che in questi giorni tentano di arrampicarsi sugli specchi spiegando che “il patriarcato non c’entra”, che “non tutti gli uomini sono dei femminicidi” e in ultimo che “anche gli uomini subiscono violenze”.

Ciò che bisognerebbe capire è che non siamo davanti a una “guerra tra i sessi”, ma davanti a un sistema etero patriarcale che accorda privilegi solo a una fetta della popolazione ed espone a rischi donne o chi non si conforma all’espressione binaria di genere o all’orientamento sessuale - e ancor di più se queste persone sono povere, razzializzate o appartenenti a minoranza.

Nel giorno contro la violenza di genere, il 25 novembre, è il caso di spiegare ancora una volta perché l’argomentazione del “non si parla mai di violenza sugli uomini” non abbia senso, e ancora una volta partiremo dai dati.

I dati sulla violenza di genere

Quando si parla di violenza sulle donne si parla di una violenza sistemica e non episodica e lo dimostrano i dati esposti dal presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia che, in una recente conferenza stampa con la procuratrice Letizia Mannella e con la presidente della quinta sezione penale del Tribunale Elisabetta Canevini, ha analizzato i dati sulla violenza sessuale.

I risultati dimostrano che il 92% degli imputati per violenza sono uomini, un dato che si commenterebbe da solo, ma non è tutto, questi dati sfatano anche il mito razzista che la destra porta avanti in questo paese: il 60% degli autori di questi reati sono italiani e non “stranieri”. Altro dato è che l’età media si abbassa sempre di più con il 45% dei reati commessi da under 35. Questi dati dimostrano ancora una volta non solo che l’Italia ha un problema strutturale di violenza di genere, dove ogni 72 ore una donna viene uccisa, e che questo problema è trasversale: non esistono distinzioni generazionali, sociali o economiche.

Perché si parla di violenza sulle donne e non sugli uomini

Se i dati non bastano - e non bastano mai per chi nega che il problema della violenza sulle donne sia sistemico - occorre riflettere su cosa si intenda per violenza di genere in modo da poter comprendere perché non si parla di violenza sugli uomini.

Giungono in aiuto le preziose riflessioni del filosofo femminista Lorenzo Gasparrini, il quale ha fatto notare che con “violenza sugli uomini” si potrebbe intendere il risultato di comportamenti violenti che hanno come vittime persone di sesso maschile. Guardando alle statistiche Istat però emerge che sono uomini anche la maggior parte degli autori di questi crimini. Quindi ancora una volta il problema alla radice è l’espressione di una società machista che valorizza la violenza in quanto associata a un sistema valoriale di virilità.

In ogni caso, questo tipo di violenza non è una violenza di genere perché, spiega Gasparrini, “non dipende da una precisa scelta verso le vittime”. Non siamo di fronte a una violenza agita solo per caratteristiche specifiche del genere maschile, che li rendono vulnerabili in determinate occasioni. Gli uomini, all’interno della società patriarcale, hanno il privilegio di non essere ammazzati solo perché uomini, solo perché decidono della propria vita.

Al contrario esiste una violenza sugli uomini che non si conformano al modello machista, una violenza agita dagli uomini sugli uomini: la violenza omofoba e transfobica contro chi “non si comporta da ’vero’ uomo”.

Inoltre è sempre a causa della società patriarcale se non si parla di violenza sugli uomini, in quanto la violenza e lo scontro tra maschi rientra nella normalità. Cultura che viene decostruita quotidianamente dai movimenti femministi che denunciano un sistema patriarcale che nuoce a tutte le donne, a tutte le persone non binary e anche agli uomini, incastrati in meccanismi performativi di virilità minacciati dal “no” di un’altra persona.

Perché “non tutti gli uomini” non basta per essere alleati

Ogni volta che davanti a un caso di violenza sulle donne si discute di “violenza maschile”, inevitabilmente si sollevano gridi di protesta con la tipica frase: “Non tutti gli uomini uccidono”, oppure, “non tutti gli uomini stuprano”; o ancora “non tutti gli uomini aggrediscono o abusano”.

Eppure, anche se “non tutti gli uomini uccidono”, sono solo e sempre gli uomini autori di femminicidi. Il piano del discorso, infatti, è che la violenza è un problema maschile ed è - ancora una volta ricordiamolo - un problema strutturale.

La retorica del “non tutti gli uomini” dimostra una platea maschile disposta a scansare la colpa invece che assumersi le responsabilità di decostruire un sistema patriarcale che ogni giorno produce violenza.

Questa frase insieme a “esiste anche la violenza sugli uomini” è il tentativo del singolo di tirarsi fuori dalla discussione, ma così facendo non affrontano il problema della misoginia, anzi quel “non tutti gli uomini” è sintomo di una cultura patriarcale che trae forza anche dal silenzio omertoso di chi non vuole assumersi una responsabilità collettiva, godendo in silenzio dei propri privilegi.

Per essere davvero alleati, gli uomini dovrebbero assumersi questa responsabilità, decostruendo un sistema che quotidianamente genera discriminazioni, magari facendosi parte attiva dentro le “chat di calcetto”, andando contro la logica del branco o alla logica di chi minimizza la violenza, provando ad alzare la voce e facendo autocoscienza.

Infondo i dati parlano chiaro: circa un terzo delle donne nel mondo ha subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita (e solo un terzo delle donne denuncia). E se “non tutti gli uomini” ammazzano, tutte le donne e persone non conformi vivono con la consapevolezza che potrebbero essere le prossime su quella lista di violenze, che come punta dell’iceberg vede il femminicidio e lo stupro, ma che affonda le radici nel catcalling, gender pay gap, violenza psicologica ed economica.

E finché la decostruzione non avverrà anche da parte di chi gode del privilegio di camminare per strada di notte senza aver paura di essere aggredito sessualmente o fisicamente, il sistema patriarcale continuerà a sopravvivere. Nella speranza che la lotta al sistema etero-patriarcale-capitalista diventi una lotta abbracciata da tutte le persone, ci diamo appuntamento nelle piazze al grido di rabbia di chi sa che può essere la prossima:

se domani sono io, mamma,
se non torno domani,
distruggi tutto.

Se domani tocca a me,
voglio essere l’ultima.

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