Pensioni, ecco quanto avresti preso oggi senza il taglio del governo Meloni

Simone Micocci

26 Luglio 2023 - 10:02

condividi

Pensioni più alte senza il taglio del governo Meloni. Ecco perché potrebbe esserci l’intervento della Corte Costituzionale.

Pensioni, ecco quanto avresti preso oggi senza il taglio del governo Meloni

Il governo Meloni ha tagliato le pensioni: con la legge di Bilancio 2023, infatti, è stata effettuata una stretta della rivalutazione, meccanismo che adegua l’importo degli assegni all’inflazione così da mantenerne inalterato il potere d’acquisto.

A introdurre la rivalutazione annua delle pensioni è stata la legge n. 448 del 1998 con la quale vengono fissate tre diverse percentuali:

  • nel dettaglio, per la parte di pensione fino a 4 volte il trattamento minimo si applica una rivalutazione piena, quindi al 100% del tasso d’inflazione accertato dall’Istat;
  • per la parte che supera le 4 volte il trattamento minimo ma resta entro le 5 volte l’adeguamento è al 90% del tasso;
  • infine, sopra le 5 volte il trattamento minimo la rivalutazione è pari al 75% del tasso accertato.

Tuttavia, con il passare degli anni sempre più governi hanno messo mano alla rivalutazione, rivedendone le percentuali - e alcune volte persino bloccandola - così da risparmiare risorse da destinare ad altre misure. Tant’è che in alcuni casi è dovuta intervenire la Corte Costituzionale specificando che nessun taglio può essere di lunga durata.

La rivalutazione Meloni

Tra i governi che hanno messo mano alla rivalutazione c’è anche quello presieduto da Giorgia Meloni, che per il biennio 2023-2024 ha rivisto le suddette percentuali portandole a:

  • 100% del tasso di rivalutazione per gli assegni fino a 4 volte il trattamento minimo;
  • 85% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 4 e le 5 volte il trattamento minimo;
  • 53% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 5 e le 6 volte il trattamento minimo;
  • 47% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 6 e le 8 volte il trattamento minimo;
  • 37% del tasso di rivalutazione per gli assegni tra le 8 e le 10 volte il trattamento minimo;
  • 32% del tasso di rivalutazione per gli assegni superiori alle 10 volte il trattamento minimo.

Specialmente sopra le 5 volte il trattamento minimo, quindi 2.626,90 euro, il taglio è molto consistente. Anche perché oltre a tagliare le percentuali di rivalutazione, il governo ha rivisto anche le modalità di applicazione: mentre con la perequazione ordinaria la percentuale ridotta si applica solamente sulla parte di pensione che supera una certa soglia, con il nuovo meccanismo definito dalla legge di Bilancio 2023 questa si applica sull’intero importo, penalizzando ancora di più l’interessato.

E questa è la ragione per cui Uil Pensioni ha intenzione di far bocciare questo meccanismo dalla Corte Costituzionale. Come possiamo vedere di seguito, d’altronde, il taglio è notevole, in quanto senza l’intervento del governo Meloni l’importo oggi percepito sarebbe stato molto più alto.

Pensione da 2.500 euro, a quanto ammonta il taglio

Per il 2023 è stato applicato un tasso di rivalutazione provvisorio del 7,3% (mentre quello definitivo, che sarà utilizzato da gennaio 2024 con conguaglio per i mesi precedenti è pari all’8,1%).

Secondo la regola generale, questo tasso sarebbe stato applicato per intero sotto le 4 volte il trattamento minimo (2.101,53 euro), mentre per la parte di pensione che supera tale soglia ma che comunque è inferiore a 5 volte (2.626,90 euro) il trattamento minimo la rivalutazione sarebbe dovuta essere del 90%.

Prendiamo come esempio una pensione di 2.500 euro, che con le precedenti regole avrebbe goduto di un aumento pari a:

  • più 7,3% per i primi 2.101,53 euro: 153,41 euro;
  • più 6,57% (90% del tasso) per la quota restante, ossia 398,47 euro: 26,17 euro.

In totale, quindi, l’aumento sarebbe stato pari a circa 180 euro al mese.

Tuttavia, la legge di Bilancio 2023 ha rivisto le percentuali di rivalutazione, oltre a stabilire che l’aliquota ridotta si applica sull’intero importo di pensione.

Ciò significa che una pensione da 2.500 euro lordi mensili, per la quale la rivalutazione avviene all’85%, quindi con un tasso del 6,205%, godrà da marzo di un aumento di 155 euro circa, con un taglio quindi di 25 euro per ogni mese di pensione.

E ancora peggio va a chi ha una pensione più elevata, per i quali le percentuali di rivalutazione sono state riviste ulteriormente al ribasso.

Pensione da 3.000 euro, a quanto ammonta il taglio

Con le vecchie regole di rivalutazione era previsto che la parte di pensione che supera le 5 volte il trattamento minimo avrebbe goduto di un aumento con percentuale ridotta al 75%.

Con l’attuale tasso del 7,3%, quindi, la rivalutazione sarebbe stata del 5,475%, ma appunto solamente per la parte di pensione che supera i 2.626,90 euro lordi.

Ad esempio, consideriamo una pensione da 3.000 euro lordi, per la quale l’incremento con le precedenti regole di rivalutazione sarebbe stato pari a:

  • più 7,3% per i primi 2.101,53 euro: 153,41 euro;
  • più 6,57% (90% del tasso) per la parte compresa tra i 2.101,53 e i 2.626,90 euro, ossia 525,37 euro: 34,51 euro;
  • più 5,475% (75% del tasso) per la quota restante, quindi 373,10 euro: 20,42 euro.

In totale, l’aumento sarebbe stato di circa 208,34 euro.

La nuova rivalutazione, invece, prevede che per le pensioni tra le 5 e le 6 volte il trattamento minimo, quindi nella fascia che va da 2.626,91 a 3.152,28 euro, l’aumento è pari al 53% del tasso, quindi del 3,869% quest’anno, calcolato sull’intero importo.

Significa che una pensione di 3.000 euro aumenterà di 116,07 euro, con un taglio di circa 92 euro ogni mese rispetto a quanto sarebbe spettato con la precedente rivalutazione.

Pensione da 4.000 euro, a quanto ammonta il taglio

Concludiamo con un assegno più elevato, di 4.000 euro, che con le vecchie regole avrebbe avuto diritto a una rivalutazione così calcolata:

  • più 7,3% per i primi 2.101,53 euro: 153,41 euro;
  • più 6,57% (90% del tasso) per la parte compresa tra i 2.101,53 e i 2.626,90 euro, ossia 525,37 euro: 34,51 euro;
  • più 5,475% (75% del tasso) per la quota restante, quindi 1.373,10 euro: 75,17 euro.

Complessivamente l’aumento sarebbe stato quindi di circa 263 euro. Cifra a cui non ci si avvicinerà neppure con la nuova rivalutazione, in quanto per la fascia oltre le 6 ma entro le 8 volte il trattamento minimo (4.203,04 euro) la percentuale viene portata al 47% del tasso, quindi pari a 3,431%. Ne consegue un aumento di 137 euro, con un taglio di 126 euro.

Iscriviti a Money.it

SONDAGGIO