Qual è la storia di Patrizio Peci, ex brigatista, e cosa fa oggi? Dalle Brigate Rosse a collaboratore di giustizia; ecco cosa sappiamo.
Patrizio Peci è un ex-brigatista, il primo tra le fila delle Brigate Rosse ad essere diventato collaboratore di giustizia. Un pentito, per usare il termine volgare, che ha dovuto pagare un caro prezzo per la sua redenzione. Ad oggi, infatti, nonostante il termine della carcerazione, non può vivere liberamente la sua vita.
Chi è Patrizio Peci e cos’ha fatto
Patrizio Peci è nato a Ripatransone nel 1953, ma si è presto trasferito con la famiglia a San Benedetto del Tronto. Nonostante ciò, sono altre le città che hanno caratterizzato maggiormente la sua vita. Dopo aver contribuito a fondare i Proletari armati in lotta è entrato a far parte delle Brigate rosse nel 1976. Dopo un breve periodo a Milano, poi, è migrato nella colonna Mara Cagol di Torino, dove si è concentrata buona parte delle azioni terroristiche a cui ha partecipato.
Patrizio Peci fino all’arresto del 1980 si è infatti reso colpevole di una consistente lista di delitti ed eventi terroristici, tutti legati al suo status di brigatista, in un sorprendentemente breve lasso di tempo, tra cui:
- Nel mese di aprile 1977 partecipò all’azione con Raffaele Fiore e Angela Vai, ferendo alle gambe Antonio Munari, capo officina della Fiat.
- Nel maggio 1977, Patrizio Peci pedinò Ezio Mauro, un giornalista che aveva scritto con toni piuttosto ostili in merito alle Brigate Rosse. Come raccontato dallo stesso Peci, era stato proprio lui a indicare il giornalista come obiettivo, ma nonostante ciò i compagni non erano d’accordo e al pedinamento non seguì alcuna violenza.
- Durante il mese di giugno 1977 l’ex-brigatista partecipò all’azione che portò alla gambizzazione di Franco Vista, un geometra della Fiat.
- Nel mese di ottobre 1977 Peci gambizzò un esponente della Democrazia Cristiana, Antonio Cocozzello.
- Patrizio Peci partecipò anche all’uccisione del giornalista Carlo Casalegno, colpevole di aver offeso alcuni membri della Rote Armee Fraktion, un gruppo terroristico tedesco di estrema sinistra.
In ogni caso, Patrizio Peci venne arrestato il 20 febbraio 1980, per un caso fortuito, insieme a Roberto Micaletto. Decise presto di collaborare con lo Stato, in particolar modo grazie al lavoro del generale Carlo Alberto della Chiesa, e fornì le informazioni necessarie alla scoperta del covo brigatista di via Fracchia a Genova.
L’esecuzione di Roberto Peci
Trattandosi del primo brigatista a compiere una scelta tanto forte, la notizia riguardo al pentimento suscitò immediatamente un acceso dibattito. Secondo le fonti ufficiali, infatti, l’arresto fu permesso grazie ai carabinieri che riconobbero per caso il volto di Peci. Ciononostante, le Brigate si convinsero che l’arresto fosse stato promosso da Roberto Peci, il fratello di Patrizio.
Per questo motivo, Roberto andò incontro a una fine decisamente tragica. Dopo aver proceduto al sequestro, le Brigate Rosse lo freddarono, in seguito al processo proletario che ne aveva sentenziato la condanna a morte, non mancando di registrare la sentenza e la sua esecuzione. Patrizio, in ogni caso, negò fino all’ultimo la tesi brigatista e nei giorni precedenti una delle sorelle si prese ingiustamente (e inutilmente) la colpa della delazione, per evitare l’esecuzione di Roberto.
Cosa fa oggi Patrizio Peci
Oltre alle fonti ufficiali, la ricostruzione tanto precisa degli avvenimenti è resa possibile dalla prolifica attività comunicativa di Patrizio, che pubblicò perfino un libro con Giordano Bruno Guerri, Io, l’infame. Quest’ultimo, che venne ripubblicato anni dopo da Sperling e Kupfer, racconta tutta la storia di Patrizio Peci, compresi gli anni nelle Brigate e il suo pentimento. La sua storia viene comunque mantenuta viva grazie a documentari e spettacoli teatrali che ne raccontano le vicissitudini. Patrizio, infatti, non ha più voce in capitolo: è ormai costretto a vivere in una località segreta con un’altra identità per ragioni di sicurezza, e nessuno può più sapere nulla della sua vita precedente.
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