È possibile risolvere il conflitto israeliano contro gli arabi-palestinesi attraverso un processo di pace per la creazione di “due Stati per due popoli”? Pro e contro della posizione.
Il conflitto tra Israele e gli arabi palestinesi non è iniziato il 7 ottobre. Dopo 75 anni di tensioni, scontri e occupazioni, l’idea che la soluzione “a due Stati” sia l’unica soluzione possibile inizia vacillare. Il mito dell’unica soluzione viene proposto dall’Occidente ancora oggi, un Occidente che sembra però ignorare cosa accade nella quotidianità dell’area palestinese. La soluzione a due Stati potrebbe infatti non essere l’atto conclusivo del conflitto.
Basterebbe fare un parallelismo con quanto sta accadendo in Ucraina per capire che la soluzione non può essere quella di mantenere gli attuali confini, perché questi sono basati sull’occupazione di Israele di parte del territorio palestinese. Molte delle zone oggi abitate dai palestinesi si trovano al di fuori della Cisgiordania. Tra queste la Striscia di Gaza e molte altre zone che sono state nel tempo escluse dai negoziati e quindi dal prospetto di un futuro Stato, ma anche occupate con la forza da Israele che ha sradicato dalle loro case i civili palestinesi.
La soluzione “a due Stati” è un’invenzione e criticarla non descrive né una visione anti-pacifista, né pro-terrorismo o antisemita. La soluzione a due Stati è davvero la migliore?
Non è una questione geografica
La geografia e la storia non sono delle scienze esatte. Basta fare caso a come il ministero degli Esteri di Israele racconti il proprio passato in Palestina e qual è invece la realtà storica dell’area palestinese. Nel caso di Israele: la Palestina era una terra vuota e pronta ad accoglierli; mentre la realtà storica descrive un territorio abitato da una fiorente civiltà araba-palestinese, nella quale gli ebrei erano una minoranza (dal 3 al 5%) della popolazione.
Se la storia non è una scienza esatta, perché amabilmente interpretata a proprio vantaggio, lo si può dire anche della geografia. “Chi si dimostra essere il più forte ha infatti una maggiore capacità di padroneggiare la geografia, sia quella fisica che quella umana”, scrive Gian Paolo Calchi Novati, storico esperto di colonialismo e decolonizzazione in Medio Oriente e Africa, in Israele, Palestina e il diritto di autodeterminazione.
Come ricorda l’autore, la questione palestinese si è sempre dispiegata fra due ipotesi: integrazione o spartizione.
Cos’è la soluzione “due Stati per due popoli”?
Se dovessimo definire la soluzione a due Stati in maniera occidentale potremmo presentarla come la soluzione che vede il territorio palestinese diviso in maniera uguale tra ebrei di Israele e arabi palestinesi.
Secondo Ilan Pappé, autore di Dieci miti su Israele, la soluzione a due Stati è:
come un cadavere tirato fuori di tanto in tanto dall’obitorio, ben vestito e presentato come un essere vivente. Quando viene dimostrato ancora una volta che si tratta di un morto, viene riportato all’obitorio.
L’attuale conflitto di Israele, che sembra aver scoperchiato la condizione disumana nella quale vivono tanto i cittadini della Striscia di Gaza quanto i civili in Cisgiordania (giustiziati e allontanati forzatamente dalle proprie abitazioni) costringe l’Occidente e non solo a tornare al tavolo dei negoziati e a pensare una soluzione nuova, senza dover riesumare la soluzione a due Stati (per usare la metafora funebre di Pappé).
La realtà dei fatti purtroppo è che la soluzione a due Stati rappresenta la colonizzazione di Israele sulla Palestina. la pace, secondo questo punto di vista, sarà possibile solo se l’ipotesi “due Stati per due popoli” sarà completamente cancellata. Tradotto in altre parole: non c’è autodeterminazione senza decolonizzazione.
Qual è la soluzione per Israele e Palestina?
Se la soluzione due Stati per due popoli funziona solo su carta, è perché la pace non è una questione di cambiamento demografico e geografico, ma una questione di ideologie e politiche. Israele è stato fondato da un movimento di coloni la cui ideologia sionista prevedeva la colonizzazione della Palestina e il mantenimento di politiche di apartheid verso la popolazione locale. Gli eventi a seguito della seconda guerra mondiale hanno concretizzato il progetto sionista. Lo stesso progetto che oggi censura, abusa e incarcera israeliani antisionisti che non si riconoscono nella brutale occupazione e colonizzazione operata dalle forze di estrema destra al governo.
Per costruire una soluzione funzionante servirebbe non ridistribuire le terre e quindi le ricchezze tra i due popoli, ma permettere ai palestinesi di essere rappresentati, quanto permettere ai civili israeliani antisionisti di prendere parola.
Se la soluzione a due Stati rappresenta il volere di un Israele sionista, l’unica vera soluzione è quella di rigettare la soluzione a due Stati e ripartire dalla “riappropriazione”, ovvero la decolonizzazione. Il rapporto tra ebrei e palestinesi deve essere quindi riformulato su una base democratica e attraverso il rigetto della vecchia mappa della soluzione a due Stati (logica coloniale).
L’unica vera soluzione per Israele e Palestina, scrive ancora Pappé, è quella di rimuovere il primo grande ostacolo alla pace: la “soluzione a due Stati”. Questo perché non sarebbe altro che una soluzione coloniale e dettata dallo straripamento dello Stato ebraico.
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Un unico Stato libero
Il rifiuto del mondo arabo della nascita di Israele ha portato la simpatia dell’Occidente nei confronti del neonato Stato ebraico. Una posizione di asimmetria che ancora oggi è ben visibile in un doppio standard: gli israeliani sono nella condizione di avvalersi del “diritto di difesa” con tutti i mezzi, mentre i palestinesi sono sulla sedia dell’imputato a dover provare le proprie ragioni per esistere.
Malgrado le differenze tra arabi-palestinesi ed ebrei-israeliani, sono in molti a proporre come soluzione plausibile la creazione di uno Stato unico, antisionista e fondato su principi democratici, senza distinzione di religione, identità etnica, origini nazionali e status di cittadinanza.
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