Licenziamento per insubordinazione: di che si tratta e quando scatta

Claudio Garau

21 Dicembre 2022 - 14:42

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I possibili casi di licenziamento del lavoratore sono innumerevoli e, tra essi, vi sono quelli riconducibili all’insubordinazione in ufficio. Ecco che cos’è e quali sono i comportamenti sanzionabili.

Licenziamento per insubordinazione: di che si tratta e quando scatta

Il licenziamento disciplinare consiste nella la sanzione più grave che il datore di lavoro può adottare contro i gesti del lavoratore, che violano le regole di comportamento fissate dalla legge, dai contratti collettivi, oppure che non rispettano quanto previsto nel codice disciplinare dell’azienda. Come vedremo nel corso di questo articolo, questo vale anche per l’insubordinazione.

Chiunque firmi un contratto di lavoro subordinato deve o dovrebbe ricordare che uno degli elementi caratteristici del rapporto di lavoro dipendente, è il dover rispettare le direttive e le istruzioni del datore di lavoro. Infatti, a differenza dei lavoratori autonomi, quelli subordinati non possono scegliere in modo libero come svolgere la prestazione di lavoro e come conseguire gli obiettivi che gli sono stati assegnati . D’altronde proprio per questo si chiama ’lavoro subordinato’.

Pertanto, se il lavoratore non fa ciò che gli viene chiesto per contratto, va incontro ad un effettivo inadempimento contrattuale. Chiaramente in questi casi le conseguenze possono essere assai pesanti e comportare il licenziamento per insubordinazione sul lavoro. Vediamo più da vicino.

Che cos’è l’insubordinazione in breve

Facciamo chiarezza su un termine che nel diritto del lavoro sta ad indicare un grave comportamento del dipendente. Ebbene, l’insubordinazione consiste in una forma di inadempimento degli obblighi da parte di chi, a suo tempo, era stato assunto con contratto di lavoro dipendente.

In altre parole, costituisce insubordinazione ogni comportamento (attivo o omissivo), con il quale il lavoratore assunto si rifiuta di adempiere ad un ordine datogli da un superiore gerarchico o dallo stesso datore di lavoro, oppure in qualche modo viene meno al rispetto dovuto al ruolo ed all’autorità degli stessi - ponendosi in aperta sfida con i superiori.

Il riferimento normativo nel Codice Civile: l’art. 2104 e l’obbligo di diligenza

Come è ben noto, infatti, il dipendente - nello svolgimento delle mansioni previste in contratto - è obbligato a seguire le direttive aziendali e gli ordini dei propri superiori. In particolare assume importanza l’art. 2104 del Codice Civile, per ciò che attiene al rispetto dei propri obblighi: “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa”, ma anche “deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.

Non vi sono dubbi a riguardo: il lavoratore subordinato deve perciò rispettare le istruzioni date dal datore e dai superiori, ed eseguire la prestazione lavorativa in base a quanto indicato da questi ultimi. In particolare, deve compiere le prestazioni richieste con la diligenza propria delle attività lavorative effettuate.

Altrimenti, si fa concreto il rischio di rendersi responsabili di gesti di insubordinazione. Ma come vedremo tra poco, l’insubordinazione è stata intesa dalla giurisprudenza anche in un senso più ampio. Scopriamo perché.

Insubordinazione in azienda: inadempimento contrattuale ma non solo

Secondo i giudici, l’insubordinazione ricorre non soltanto nelle ipotesi in cui il lavoratore non osservi e applichi le direttive aziendali o del datore di lavoro, ma anche quando metta in atto comportamenti tali da arrecare un danno all’organizzazione dell’ambiente di lavoro.

Sintetizzando l’insubordinazione può consistere:

  • nel mancato rispetto delle direttive datoriali, ovvero nel rifiuto di adempiere alle disposizioni date dai superiori. In queste circostanze i giudici hanno parlato di negazione plateale ed evidente dell’obbligo di obbedienza;
  • in ogni altro gesto o comportamento mirato ad arrecare un pregiudizio all’esecuzione ed al corretto svolgimento delle direttive aziendali nel quadro dell’organizzazione aziendale, e a costituire dunque espressione di una sorta di contestazione o sfida ai superiori e al loro potere direttivo.

Per quanto riguarda il primo punto si tratta ad es. del caso del dipendente che si rifiuta, a mezzo di alcune mail inviate al diretto superiore, di eseguire le ulteriori mansioni affidate, nella convinzione che questi supplementari compiti non siano parte della “job description” dell’attività per cui si è stati assunti. Con la conseguenza di non essere tenuti a svolgerli. Ma si tratta anche del caso di chi non vuole prendere servizio nella nuova sede di lavoro, dopo il trasferimento.

Circa il secondo punto, invece, pensiamo all’ipotesi di chi, ad esempio, si lamenti per i ritmi di lavoro in ufficio e minacci e insulti colleghi e superiori. In queste circostanze la condotta del lavoratore costituisce un grave turbamento, contro il quale l’azienda può rispondere con il licenziamento per giusta causa per insubordinazione del dipendente.

Insubordinazione e licenziamento: il rilievo dei singoli Ccnl

Andiamo a vedere più da vicino quali possono essere le conseguenze di un comportamento di questo tipo. Ovvero, come si valuta il comportamento ai fini del licenziamento? Ebbene, precisiamo un punto molto importante: benché si tratti di gesti poco ’edificanti’, non sempre l’insubordinazione può giustificare la sanzione disciplinare più grave - e ci riferiamo appunto al licenziamento.

Tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro includono l’insubordinazione come fatto che può comportare il licenziamento del lavoratore. Questo può essere “in tronco” / senza preavviso, oppure con preavviso, in base alla gravità del comportamento insubordinato avutosi in concreto.

In particolare, per dare luogo al licenziamento per giusta causa e senza preavviso, il comportamento adottato dal lavoratore deve essere così grave da ledere il vincolo fiduciario e non permettere più la continuazione del rapporto di lavoro dipendente, neanche per un solo giorno.

Ma attenzione, l’insubordinazione può essere lieve o grave, a seconda che nella condotta del dipendente sia rintracciabile o meno un atteggiamento di sfida nei confronti dei superiori o del datore.

Non di rado sono i singoli contratti collettivi nazionali di lavoro ad indicare gli specifici comportamenti, che devono essere ritenuti insubordinazione lieve e quali invece debbono essere considerati insubordinazione grave. Distinguendo le conseguenze disciplinari per ognuna delle ipotesi.

Quali fattori considerare prima di valutare il recesso dal contratto per insubordinazione del lavoratore

Ci si potrebbe dunque chiedere dei fattori con cui valutare la gravità dell’insubordinazione. Ebbene, come precisato più volte dalla giurisprudenza, quest’ultima va valutata non in astratto, ma in concreto e, pertanto, con riferimento diretto alla posizione delle parti nel contesto aziendale, al grado di affidabilità richiesto dalle particolari mansioni assegnate al dipendente e in rapporto alla portata soggettiva del fatto. Con quest’ultima espressione ci riferiamo all’intenzionalità o meno del comportamento.

Pertanto, è facile intuire che ogni caso fa storia a sé e il datore di lavoro dovrà, di volta in volta, valutare questi fattori per capire se vi sono davvero gli estremi per la sanzione disciplinare più grave, ovvero il licenziamento per giusta causa.

Infatti in base alla legge, le sanzioni disciplinari devono essere sempre proporzionate alla gravità della condotta del dipendente. Pertanto il comportamento che può essere ritenuto insubordinazione deve essere valutato sulla scorta della sua effettiva gravità, onde stabilire la specifica sanzione.

Ma attenzione, è pur vero che il lavoratore, onde evitare la sanzione del licenziamento, può difendersi da una contestazione disciplinare mossa dal datore, il quale gli addebiti gesti di insubordinazione. Proprio così: nel procedimento disciplinare obbligatorio per giungere alla sanzione, il dipendente potrà rispondere con giustificazioni scritte, contro le accuse di insubordinazione. Se non sempre le contromosse del lavoratore sono in grado di risolvere la situazione, talvolta possono però evitare il licenziamento disciplinare, conducendo ad un esito ’intermedio’, qual è l’adozione di una sanzione conservativa - ad es. la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per tre giorni.

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