Il consumo consapevole permette di prediligere prodotti di qualità e avere uno stile di vita sostenibile. Ecco come funziona e quali domande porsi per essere consumatori consapevoli.
Nel 1899 l’economista e sociologo Thorstein Veblen analizza in un saggio le conseguenze su larga scala della diffusione di uno stile di vita più agiato e dell’aumento del tempo libero. Per la prima volta, egli parla di «consumo vistoso» per descrivere la nuova tendenza a comprare beni non per necessità o per il loro valore intrinseco, ma piuttosto perché simbolo di un certo status sociale e di una vita agiata.
La diffusione dell’industrializzazione ha portato a un aumento esponenziale della produzione, in tempi minori e con prezzi più bassi. Ma un surplus di beni ha bisogno di un aumento delle vendite. Diventa quindi necessario creare un’esigenza: quella di accumulare beni, soprattutto se vantaggiosi e poco duraturi, in modo da garantire un ricambio costante ed evitare l’inflazione.
E come si fa a invogliare le persone a comprare anche quello che non è strettamente necessario? Attraverso le strategie di marketing, capaci di vendere un messaggio prima che un prodotto, quindi di creare un desiderio più che un bisogno. Più che acquistare, si consuma. Questo meccanismo capitalistico è preponderante nella società moderna, che spesso viene definita proprio come “società dei consumi”, in cui l’individuo è in primo luogo un consumatore.
Sono svariate le strategie di marketing che spingono, anche in modo inconsapevole, ogni individuo ad acquistare sempre più. Si parla di neuromarketing, ovvero di sfruttare i meccanismi neurologici e psicologici umani al fine di vendere. Dalla disposizione delle corsie dei supermercati, pensate per farci trascorrere più tempo nei reparti e per comprare anche prodotti che esulano dalla nostra lista della spesa; fino alla tecnica della taglia intermedia, inserita per invitarci a prendere la versione Large che costa solo pochi euro in più.
Negli ultimi anni, però, sembra essere nata una tendenza opposta a questa. Se nel mondo attuale evitare il consumo è sostanzialmente impossibile, una buona pratica è quella del «consumo consapevole», anche detto “consumo critico”. Ma di cosa si tratta?
Il consumo consapevole si basa sul porre attenzione, nel momento dell’acquisto, alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica del prodotto. Secondo tale visione, al momento dell’acquisto di un prodotto bisognerebbe porsi alcune domande: ho veramente bisogno di questo oggetto? Ho la possibilità e le occasioni per sfruttarlo al meglio, senza sprecarlo? Posso sostituire questo oggetto con qualcosa che ho già? Ma anche: questo oggetto è sostenibile a livello ambientale? La sua produzione si è svolta nel rispetto dei diritti dei lavoratori? Il paese di produzione ha un buon sistema di garanzie dei diritti? Il prezzo è adeguato al valore del prodotto, oppure è troppo basso, e quindi indice di un sistema di produzione non sostenibile a livello sociale o ambientale? Una volta data una risposta a ognuno di questi quesiti, la scelta di acquistare o meno il prodotto sarà realmente consapevole.
Da qui scaturisce la scelta di una serie di alternative sostenibili: oggetti riutilizzabili al posto di quelli usa e getta, packaging che cercano di evitare la plastica, il vintage o second hand al posto del fast fashion. Cambiano i prezzi, ma cambia anche il valore dei prodotti.
Un semplice esempio: allettati dai saldi, possiamo decidere di acquistare in una catena fast fashion 5 magliette al modico prezzo 9,99£ l’una. Sembra un affare: con soli 50£ avrò svariati nuovi capi alla moda. Non teniamo però conto del fatto che il fast fashion è una delle industrie più inquinanti al momento, e che quindi la nostra scelta non è sostenibile a livello ambientale. Non leggiamo che nel paese di produzione indicato sull’etichetta a lavorare sono spesso minorenni in condizioni assolutamente deprecabili. Ma non teniamo neanche conto del fatto che i materiali utilizzati sono di scarso valore: quelle magliette ben presto passeranno di moda e si rovineranno, quindi il prossimo anno dovrò spendere altri 50£ per comprarne di nuove. In alternativa, posso decidere di acquistare allo stesso prezzo solo due magliette, magari made in Italy, con materiali più pregiati e di conseguenza più costosi. Oltre ad aver fatto un favore all’ecosistema, quelle magliette saranno ancora valide tra 5 o 10 anni, e quindi la maggiore spesa si rivelerà un investimento vantaggioso anche per noi. Insomma, preferire la qualità, la durata e la sostenibilità, rispetto alla quantità e alla convenienza eccessiva. D’altra parte, è più facile a dirsi che a farsi.
Se è vero che le nuove generazioni sono più attente al tema della sostenibilità, e che il consumo consapevole sia ormai quasi di tendenza, è anche vero che il marketing sa bene come osservare i cambiamenti e come approfittarne. È qui che nasce il cosiddetto greenwashing.
Questo neologismo indica quelle strategie adottate da aziende che propongono un ambientalismo di facciata, per poi perpetrare dei sistemi di produzione assolutamente non sostenibili. L’obiettivo è proprio quello di distogliere l’attenzione dei clienti dalle problematiche dell’azienda, invitandoli a un apparente acquisto ecologico. Troviamo così, ad esempio, linee “green” in multinazionali notoriamente non sostenibili, che cercano di risultare invitanti per i clienti più attenti alla sostenibilità. Tali prodotti vengono percepiti in modo positivo dal consumatore, che allo stesso tempo ottiene la comodità e i prezzi economici tipici di questo tipo di aziende. Il consumatore è quindi spinto ad acquistare senza interrogarsi ulteriormente sulla qualità del prodotto, evitando così la consapevolezza.
In conclusione, essere consumatori consapevoli non è una scelta semplice né scontata. I prodotti sostenibili hanno spesso un prezzo maggiore di quelli tradizionali, e di conseguenza non sono accessibili a tutti, né sono sempre reperibili. In una società fortemente consumistica e immersa nella pubblicità non è semplice resistere alla tentazione, né è scontato decidere di riflettere sempre con attenzione prima dell’acquisto. Essere semplici consumatori è più comodo, più veloce e più immediato. Eppure, raggiungere un certo livello di consapevolezza significa riconquistare il potere sulle proprie spese. Significa tornare ad attribuire un valore reale agli oggetti, significa selezionarli e impreziosirli, imparare a comprendere a fondo le proprie esigenze reali, i propri gusti e bisogni. Ma significa anche, nel proprio piccolo, sostenere l’ambiente, difendere i diritti civili, opporsi alla manipolazione mediatica. E tu, ne sei consapevole?
© RIPRODUZIONE RISERVATA