Aviaria, tre persone contagiate e un morto: c’è stato il salto di specie?

Giorgia Bonamoneta

21 Marzo 2023 - 23:10

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L’influenza aviaria sta colpendo milioni di uccelli nel mondo. Tra i casi emergono almeno 3 essere umani e c’è chi parla di salto di specie. È davvero così? No, ecco lo studio che lo smentisce.

Aviaria, tre persone contagiate e un morto: c’è stato il salto di specie?

L’influenza aviaria potrebbe essere la nuova pandemia del 2023. Nel corso del 2022 in Europa sono stati colpiti milioni di animali, ma sono emersi anche tre casi du contagi di esseri umani. Tra le persone colpite si conta anche una bambina contagiata in Cambogia, che in seguito all’infezione è deceduta.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha avvertito con una nota del rischio spillover, anche se al momento manca la firma genetica per dichiarare un evento di spillover e viene suggerito che i casi riportati tra gli esseri umani sono da intendere come “casi autolimitanti”, cioè senza salti patogeni tra le specie.

L’influenza aviaria potrebbe essere la nuova pandemia del 2023? Dati alla mano la risposta è “no”, ma sono diverse le aziende che stanno già sviluppando campioni di vaccini per mettersi al sicuro.

Influenza aviaria in Europa: i dati del ministero della Salute

Tra il 2020 e il 2021 in Europa sono stati scoperti diversi focolai di influenza aviaria (dei sottotipi H5N1 e H5N8). Solo nel 2021 il numero di focolai da H5N1 confermati nella popolazione di pollame domestico ha raggiunto gli oltre 280 focolai e 614 negli uccelli selvatici, mentre per il sottotipo H5N8 sono stati confermati 105 focolai nei domestici e 191 nei selvatici.

Nell’ultimo anno e mezzo l’influenza aviaria si è quindi guadagnata la cima della classifica delle epidemie più mortali al mondo per gli uccelli domestici e selvatici.

I casi sull’essere umano non sono in Europa, ma da Paesi altrettanto colpiti dall’influenza aviaria. Infatti solo dal 17 febbraio al 9 marzo sono stati registrati oltre 200 focolai nel mondo, anche se una buona parte in Europa. Infatti secondo il rapporto della World Organisation for Animal Health nelle ultime tre settimane, dei 44 focolai riscontrati nel pollame, 31 si sono verificati in Europa, 11 nelle Americhe, 1 in Asia. Il rapporto si chiude con un’indicazione di prudenza: non smettere di sorvegliare gli animali.

L’Influenza aviaria nelle persone non indica (per forza) una nuova pandemia

Uno studio italiano, pubblicato su Pathogen and Global Health e frutto della collaborazione tra l’Università di Sassari, il Campus Bio-Medico di Roma e l’Università la Sapienza di Roma, ha scongiurato un evento di spillover. Nello studio si legge che il salto di specie può verificarsi quando una popolazione patogena ad alta prevalenza entra in contatti con soggetti appartenenti a specie diverse e il patogeno si diffonde in una nuova popolazione.

Quando c’è il salto di specie il cambiamento è brusco e dovuto ad uno spostamento antigenico, ovvero a cambiamenti causati da eventi di ricombinazione che generano nuove proteine Ha e Na che acquisiscono la capacità di infettare l’uomo. Questo cambiamento può portare a un nuovo sottotipo che infetta le persone per la prima volta. Per i 3 casi umani di influenza aviaria segnalati non si può invece parlare di spillover perché manca la firma genetica, scrivono i ricercatori.

L’Oms lancia l’allarme: sì alla prudenza

A determinare l’assenza del salto di specie è stato lo studio del caso dela bambina cambogiana deceduta. Infatti l’analisi sull’Rna della bambina, confrontato con quello del padre - anch’esso positivo all’influenza aviaria ma asintomatico - ha mostrato una sola mutazione, ma non determinante. Non c’è quindi stato passaggio interumano dell’influenza, prova che questa non è ancora oggi in grado di farlo.

L’assenza del salto di specie non deve però far abbassare la guardia. Anche se al momento H5N1 non mostra nessuna delle caratteristiche necessarie per il salto di specie, e manca ancora la firma genetica di uno spillover, “questo non significa che non possa mai verificarsi”, scrivono i ricercatori. Serve prudenza, ma soprattutto continuare il lavoro di monitoraggio sulle specie (soprattutto selvatiche) positive al virus.

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