Seppure in riduzione, è ancora l’astensionismo a trionfare. Lo rilevano gli istituti di ricerca incaricati di effettuare sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani: le elezioni 2013 si presentano come uno spartiacque di questo particolare momento politico. Il 24 e il 25 febbraio sono giorni molto attesi, senza alcun dubbio, ma da alcuni anche ignorati. Il 25% degli italiani, infatti, stando alle ricerche condotte dall’istituto Demopolis, potrebbe non andare a votare.
L’astensionismo: un fenomeno da studiare
Bersani? Berlusconi? Monti? Grillo? No, nessuno di loro uscirà vincitore: sarà invece il (non) voto di protesta a trionfare. Se si votasse oggi, non ci sarebbe alcun dubbio. Un quarto degli italiani non si sente rappresentato: e questo è un problema da non sottovalutare, ma di cui poco si parla. Poco rispetto all’importanza dell’argomento. Un fatto grave, gravissimo per una democrazia. Quasi 12 milioni gli eventuali astenuti, allo stato delle cose attuali. Un numero impressionante, di cui si deve parlare. E non tanto perché questa corrente astensionistica provocherà diversi disequilibri all’esito delle prossime elezioni, quanto perché il disinteresse che l’italiano prova per la politica risulta oramai evidente e, a dir poco, grave ed è diventato un fenomeno da studiare, analizzare, discutere. Le colpe non vanno naturalmente ai cittadini, bensì alla politica: è verso di questa che si ritorce contro l’astensionismo.
Quali sono i motivi alla base del voto e quali quelli alla base del non voto? Spulciando qua e là nella rete, ci cimenteremo nell’impresa di immedesimarsi nei panni di un astensionista e di un elettore assolutamente convinto che sia importante votare.
Le ragioni dell’astensionismo
Il non voto è una protesta dell’elettorato italiano, un sacrificio che il cittadino fa riguardo un suo dovere che desidererebbe espletare, ma che non può perché si sente privato di una componente imprescindibile di una democrazia, ovvero quella di essere rappresentato. Il suo attivismo, qualora ce ne sia, viene così mortificato da un vuoto politico e da una stanchezza che lo travolge nel notare come da venti anni a questa parte si sia trovato a scegliere, al momento delle elezioni, sempre le stesse facce. Il non voto è anche un simbolo evidente che richiama alla sovranità del popolo: aspetto, questo, che emerge soprattutto in tempi di crisi economica, elevata pressione fiscale e problematiche di rappresentanza politica. Il non voto è dettato da ragioni prettamente intellettuali: sfiducia nei confronti della politica attuale, scarso impegno nel mutare ciò che non si può mutare, rifiuto di qualsiasi intento demagogico, ormai generalizzato a qualsiasi monologo recitato da una personalità politico-istituzionale. Tornano in auge termini come "esercizio del potere", "diritti del popolo", "bene comune". Mai come quest’anno il livello di astensionismo risulta così (potenzialmente) elevato: segnale evidente di come la miccia accesa sia giunta in prossimità della dinamite.
Perché votare
La retorica dei valori fondativi della patria induce l’elettore all’obbligo di votare per la sola ragione che vede i fondatori della nostra nazione aver versato il proprio sangue e sacrificato la propria vita affinché noi, generazioni future, potessimo avere questo diritto. Se per gli astensionisti i fondatori della patria, se oggi fossero vivi, probabilmente metterebbero a ferro e fuoco il Paese, per quelle persone convinte che il voto sia un onore, oltre che un diritto, la democrazia si basa prevalentemente sulla scelta dell’elettorato, diventando così manifestazione del potere del popolo. Il non voto, perciò, sarebbe di conseguenza una manifestazione indiretta di uno sfociare dell’attuale stato democratico in uno stato di anarchia o di temuto totalitarismo. Ognuno è libero di non occuparsi di politica, ma il cittadino democratico, per definizione, è chiamato a interessarsi di politica, poiché essa riguarda la sua vita e la sua condizione di cittadino.
L’astensionismo, perciò, non è utile: la protesta risulta poco costruttiva, perché per il premier di turno, il non voto è rappresentato da un numero, non da un volto, né da un ideale concreto. Il premier di turno consegue il suo onore e va avanti per la sua strada: l’astensionismo è un fenomeno che non lo preoccupa ma che, anzi, potrebbe rafforzarlo.
Il voto diventa così importante per mantenere in salute lo stato attuale della democrazia: dopotutto, la democrazia, che implica in sé il diritto del voto, resta sempre, tra i peggiori, il miglior sistema possibile.
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