In Turchia è stato arrestato ieri il rappresentante di Reporter Sans Frontières e tre altri sostenitori con l’accusa di aver diffuso “propaganda terrorista” a mezzo stampa. Che fine ha fatto la libertà di espressione ad Ankara?
Turchia: arrestati tre importanti attivisti per la libertà di stampa, tra cui il rappresentante locale di Reporters Sans Frontières (Rsf), Erol Onderoglu, con l’accusa di aver diffuso "propaganda terrorista" a mezzo stampa.
Oltre ad Onderoglu, sono stati arrestati lo scrittore Ahmet Nesin e la presidentessa della fondazione per i diritti umani in Turchia, Sebnem Korur Fincanci.
Il tribunale di Istanbul ha deliberato l’arresto preventivo e la custodia cautelare in carcere dopo la loro partecipazione ad una campagna di solidarietà a favore del quotidiano filo-curdo Ozgur Gundem.
Una dichiarazione congiunta dell’alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini e del commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento nella commissione Juncker, Johannes Hahn, ha sottolineato come la sentenza della corte turca:
"Va contro l’impegno della Turchia nel rispettare i diritti fondamentali, compresa la libertà dei mezzi di comunicazione. L’Ue ha più volte sottolineato che il Paese, in quanto candidato all’adesione all’Unione, deve aspirare ai più alti standard democratici possibili”.
Libertà di stampa VS Antiterrorismo
Il governo turco ha fatto leva come sempre sulla legge antiterrorismo che consente di perseguire penalmente la stampa scomoda. Basti pensare al caso dei giornalisti del giornale Cumhuriyet autori dello scoop sui camion turchi che trasportavano illegalmente armi destinate al fronte anti-Assad in Siria. Direttore e caporedattore della testata per quel servizio sono stati condannati a 5 anni di carcere.
Bruxelles ha chiesto più volte ad Ankara di limitare la sua definizione di terrorismo in cambio dell’abolizione dell’obbligo del visto per i turchi che visitano l’Europa. Ma il presidente Erdogan non sembra cedere e l’arresto di ieri dei tre attivisti lo conferma.
Onderoglu, rappresentante di Rsf in Turchia dal 1996 e gli altri due intellettuali incriminati sono stati arrestati dopo la pubblicazione di tre articoli sul quotidiano filo-curdo in merito alle lotte intestine tra forze di sicurezza governative e separatisti curdi nel sud-est della Turchia.
I pezzi sono apparsi nel numero del 18 maggio sulla testata in questione: i tentativi di evitarne la censura e il presunto appoggio al partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) negli scritti è valsa a Onderoglu e soci la condanna con l’accusa di aver diffuso “propaganda terrorista”.
Turchia: la libertà di stampa è un’utopia?
In Turchia la stampa è costantemente sotto censura e attacco: una classifica del 2016 la colloca al 151 esimo posto su 179 Paesi per la libertà di stampa (Italia al 57 esimo).
Ankara compensa con l’uso dei social network – è settima al mondo - definiti da Erdogan un vero pericolo per la democrazia, in quanto spesso hanno funto da veicolo per proteste più o meno diffuse e hanno alimentato alcuni scandali politici nazionali.
Dal 2014 però l’agenzia per le telecomunicazioni turche ha la facoltà di oscurare siti web con contenuti giudicati inappropriati o lesivi senza il parere dell’autorità giudiziaria.
L’attività di ogni utente è passata al vaglio per un periodo di due anni e se in questo lasso di tempo i contenuti pubblicati verranno giudicati dannosi o ricchi di parole chiave denigratorie nei confronti del governo potranno essere immediatamente rimossi. Questo significa che 34 milioni di utenti sono schedati.
Erdogan ha mosso aspre critiche anche alla stampa internazionale, come al New York Times, fra i più illustri detrattori del presidente turco. Il celebre giornale statunitense aveva aspramente criticato la censura della libertà di stampa operata indiscriminatamente in Turchia nel 2015 provocando piccate reazioni del capo di Stato.
Erdogan ha sempre fatto pagare qualunque commento che potesse inficiare l’immagine di Ankara, accusato di appoggiare i miliziani del sedicente Califfato lasciando le porte aperte al passaggio sul proprio territorio dei jihadisti.
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