Trading Automatico a base Genetica: come funziona?

Giovanni Trombetta

18/02/2013

Trading Automatico a base Genetica: come funziona?

Il mercato nel tempo ha subito delle variazioni consistenti sia in termini di volatilità (estensione dei movimenti) che di meccanica pura.

Questo sicuramente a causa di fattori micro e macro economici, ma anche a causa dell’avvicinamento delle masse al trading online. Enormi flussi di volumi di scambio sono transitati attraverso le piattaforme di trading dei vari intermediari, mutando nel profondo i vecchi equilibri di compravendita del passato.

In particolare negli ultimi dieci anni è notevolmente aumentato il numero di robot che operano sul mercato, senza soluzione di continuità tra azionario, derivati o forex.

Grazie allo sviluppo tecnologico si sono accorciati i tempi di transazione ed è aumentato il numero di intermediari che offrono servizi competitivi. In questo panorama in cui la rapidità di esecuzione ha messo in ombra la discrezionalità pura abbiamo seguito il connubio collaudato tra ingegneria e finanza.

Il pattern trading non nasce certo oggi ed esistono manuali collaudati di analisi tecnica che descrivono figure ricorrenti come “hammer”, “shooting star” o “dark cloud covered” su ogni tipo di mercato.

La sfida era quella di estendere la definizione classica di pattern, facendo in modo che la macchina stessa definisse una ricorrenza statistica facendo tesoro delle informazioni a sua disposizione. Informazioni come i prezzi stessi, i volumi di scambio, le ciclicità di breve, medio e lungo termine, indicatori ed oscillatori.

Ma come realizzare un sistema completamente automatizzato per la determinazione di opportunità di trading che abbiano una discreta probabilità di continuare a manifestarsi in futuro?

La nostra risposta, dopo un decennio di esperienza nel campo dell’intelligenza artificiale, è stato l’approccio dell’evoluzione genetica.

Immaginiamo di creare cento investitori artificiali, ognuno con la propria propensione al rischio, il proprio carattere e una capacità distinta di individuare opportunità. Ogni regola che ne delinei il comportamento, come ad esempio una condizione di ingresso in posizione, costituisce un gene. L’insieme di tutte le regole di un singolo investitore ne caratterizzano uno specifico dna.

A questo punto ogni investitore viene messo alla prova dal mercato durante un periodo di training. Durante tale periodo viene misurato il valore di ciascun investitore e ciò avviene su una funzione di “successo”.

Si pensi in prima approssimazione al profitto netto, ma non è difficile immaginare anche funzioni più complesse come il profitto netto pesato sul massimo ritracciamento di portafoglio (“draw down”).

Vengono quindi salvati gli n investitori più performanti (ad esempio i 30 migliori) a discapito di tutti gli altri che vengono abbandonati.

Per tornare ad avere i cento investitori di partenza e dar vita ad una nuova generazione è necessario rigenerare settanta nuovi operatori.

Ciò avviene a partire dai trenta genitori vincenti mediante due algoritmi presi in prestito dalla biologia molecolare: il crossover e la mutazione. In questo modo i figli ereditano parte dei geni della madre e parte di quelli del padre, dando vita a regole nuove di compravendita. Tale procedimento viene reiterato per migliaia di volte, seguendo una procedura collaudata dalla natura che porta all’identificazione del miglior investitore possibile per quella specifica simulazione.

Una delle insidie più sottili di questo procedimento è quello di ottenere delle soluzioni particolarmente afflitte da “fitting”, di fatto l’adattamento al rumore della serie storica che diminuisce la probabilità che un tale insieme di regole continui a performare in futuro come sulla serie di addestramento. Per ovviare a questo pericolo si esegue un “lavaggio” preventivo di tali pattern su serie di dati non note, che costituisce, di fatto, un vero e proprio crash test.

Ma per giungere ad un sistema autonomo non si poteva prescindere da un robusto e affidabile sistema di risk management. Non soltanto la corretta esposizione di capitale (money management), ma anche un affidabile sistema di controllo della posizione. Il tutto cucito su misura sul capitale e sul confort psicologico del singolo investitore.

Ultimo atto di questo processo di sviluppo di sistemi automatici è quello della gestione dell’equity line del singolo sistema e dell’intero portafoglio. In generale si preferisce controllare l’equity di piccoli insiemi di sistemi meccanici. Ciò si configura come una vera e propria assicurazione che sconti il proprio premio sul net profit e garantisca una tendenziale diminuzione del draw down.

Nel caso di grandi insiemi di sistemi, se opportunamente combinati mediante selezione settoriale e tuning del bias (sbilanciamento del mercato al rialzo o al ribasso), il controllo dell’equity può essere omesso.

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